Easy Rider

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Road movie per eccellenza, Easy rider ha segnato la storia del cinema americano e di-segnato il nostro immaginario comune del ’68, epoca di sperimentazione raccontata attraverso le comunità hippy, l’amore libero, la marijuana e i trip di LSD. La trama è molto semplice: Billy (Dennis Hopper) e Wyatt (Peter Fonda) sono due spiriti liberi che, dopo aver contrabbandato della cocaina dal Messico agli USA, investono i soldi ricavati per comprare dei chopper, a bordo dei quali attraverseranno l’America diretti al carnevale di New Orleans.

Se la strada è la protagonista indiscussa del film, la libertà ne è il tema portante. Lo capiamo fin da subito, quando Wyatt getta a terra il proprio orologio, in un gesto di emancipazione dalla tirannia del tempo. Liberatosi dal tempo, è pronto a partire per dominare lo spazio, dunque la strada. La stessa moto non è un semplice mezzo di trasporto, ma un simbolo di libertà e autenticità; perché, se è vero che con l’automobile siamo spettatori del mondo, guardato attraverso un finestrino come se lo si guardasse al televisore, è altrettanto vero che la motocicletta ci costringe a essere immersi nel creato, a sentirlo sulla pelle, a viverlo andandogli incontro mentre ci investe con tutta la sua violenza.
Billy e Wyatt vogliono abbracciare il mondo, sperimentarlo in tutte le sue forme, viverlo nella loro spontaneità. Tuttavia, durante il loro viaggio si scontreranno più volte con quelli che vengono chiamati “spiriti dei bifolchi”, i conformisti. Billy e Wyatt verranno prima arrestati, poi aggrediti; questo perché, come spiega il loro amico George (Jack Nicholson) a Billy, gli uomini hanno paura di essere liberi e questa paura li fa diventare pericolosi, spingendoli ad annientare chi libero lo è realmente. Non a caso il sottotitolo italiano del film è “Libertà e paura”: Easy Rider racconta il conflitto tragico tra le due, la battaglia tra spiriti liberi e spiriti dei bifolchi, che sembrerà finire con una vittoria dei secondi. Ma è una vittoria solo apparente, perché Billy e Wyatt, proprio nell’ultima negazione della loro libertà, incontreranno in realtà la libertà assoluta.

Il tema della libertà ritorna anche nello stesso film-making: i dialoghi sono per lo più improvvisati, frutto della spontaneità degli attori; lo stesso montaggio è privo di ogni regola, con stacchi bruschi e sovrapposizioni di scene. Il set era poi una zona franca, dove venivano consumate realmente droghe per rendere più autentica la performance: ad esempio, nella scena del trip di LSD Peter Fonda era realmente sotto effetto di acidi.

La pellicola ha garantito la fama a Jack Nicholson, che con questo film ottiene la sua prima nomination agli Oscar diventando uno tra gli attori più richiesti di Hollywood.
Per costruire la colonna sonora, Dennis Hopper si è limitato a inserire come commento musicale i brani che preferiva tra quelli che passavano alla radio quell’anno. Tuttavia il risultato è straordinario perché, sebbene la scelta possa sembrare quasi casuale, quel che viene fuori è un perfetto intreccio tra film e musica. “Born To Be Wild” degli Steppenwolf, così come “Wasn’t Born To Follow” dei Byrds, non solo racchiudono in se stesse l’intero senso del film, ma si fondono alle scene creando dei veri e propri videoclip ante-litteram. Le canzoni scelte sono un inno alla libertà (“If You Want To Be a Bird” degli Holy Modal Rounders), un elogio dell’autenticità (“If Six Was Nine” di Jimi Hendrix Experience), un invito alla sperimentazione (“Take the world in a love embrace”, cantano gli Steppenwolf) e un racconto delle droghe negli anni Sessanta (tra “The Pusher”, ancora degli Steppenwolf, e “Don’t Bogart On Me” dei Fraternity Of Man). La pellicola, grazie al commento musicale, diventa così vero e proprio manifesto dell’epoca d’oro dell’emancipazione giovanile.

La fotografia (di László Kovács, che già nel 1967 aveva lavorato a un prototipo del film, Angeli dell’inferno sulle ruote di Richard Rush, sempre con Jack Nicholson) è stata molto apprezzata per aver saputo mostrare in maniera inedita gli spettacolari paesaggi dell’America del Sud.

Dennis Hopper e Peter Fonda, con un film a basso budget, sono stati in grado di far raggiungere una nuova frontiera al topos dell’uomo occidentale come viaggiatore: il viaggio degli easy rider non è un viaggio alla scoperta del mondo come quello di Ulisse, né alla scoperta di se stessi come quello di Dante; è un viaggio come manifestazione della propria autenticità e affermazione della propria libertà, sulla falsariga di Jack Kerouac e Allen Ginsberg.


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Adele Di Lullo (classe 1998) nasce e cresce ad Isernia. Per sfuggire alla noia di una piccola città passa gran parte del tempo immersa nei romanzi, ambendo a scriverne uno, un giorno. Nel 2016 vince il primo premio al Concorso letterario nazionale “Lina Pietravalle” con un brano liberamente tratto da “Mother” dei Pink Floyd. Nel 2017 si trasferisce a Milano per studiare Filosofia presso l’Università Vita-Salute San Raffaele. Passa gran parte del tempo libero a leggere, ogni tanto dipinge o suona il pianoforte. Se la sua vita fosse un film, sarebbe scritto e diretto da Woody Allen.

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