Emerson, Lake & Palmer – Tarkus

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Tarkus… e chi se lo dimentica! È stato il mio primo disco, acquistato non senza enormi sensi di colpa, per 3.500 lire presso il Disco Club di Milano, nei primi mesi del 1972. Avevo quattordici anni e il senso di colpa era dato dal fatto che 3.500 lire erano poca cosa per molti, una cifra enorme per quelli come me che viaggiavano con una paghetta settimanale di poche centinaia di lire, quando nelle latterie – i bar erano frequentati dai “grandi” – si beveva la “mitica” spuma da cinquanta (la spuma era una bibita gasata al gusto gazzosa, chinotto o ginger, e cinquanta erano le lire del costo di un bicchiere). Milano era piena di negozi di dischi ma i più frequentati, forniti e meno cari erano il Disco Club, appunto, un buco situato nel mezzanino del metrò di Cordusio, e Buscemi, con le vetrine che davano proprio sul Bar Magenta, altro storico ritrovo della gioventù meneghina.

Tarkus, dicevo… avere tra le mani quella copertina colorata  era già di per sé un immenso godimento, con quello strano armadillo cingolato che attraversava sfrecciando preistoriche lande desolate. Ricordo che quando arrivai a casa, in preda a una vera e propria vertigine, feci girare il disco per ore e ore sulla mia Fonovaligia Lesa (mia per modo di dire, essendo di proprietà della famiglia come il televisore, il frigorifero e la lavatrice). E qui è necessario aprire una piccola parentesi  per spiegare, almeno ai più giovani, di che cosa sto parlando. La Fonovaligia Lesa può essere considerata “lo stereo dei poveri” (peraltro impropriamente, essendo “mono”) dell’epoca, ed era costituita da giradischi, amplificatore e cassa, compattati in un unico apparecchio poco più grande di una valigetta ventiquattr’ore. Un coperchio e una maniglia ne permettevano l’agevole trasporto, per cui la Fonovaligia Lesa (a proposito, Lesa era la marca) si prestava molto per l’organizzazione di feste nelle case: uno portava il giradischi, un altro i 45 e i 33 giri, altri le birre e dal niente qualsiasi appartamento si trasformava in una bolgia. Per la cronaca, il mio primo vero impianto stereo arriverà verso la fine del ’78: giradischi Lenco B55 in legno massello – ce l’ho ancora, funzionante – ampli e casse Marantz.
Ma torniamo a Emerson, Lake & Palmer. Il gruppo, com’è facile intuire, è formato da Keith Emerson, funambolico e dotatissimo tastierista ex Nice, da Greg Lake, talentuoso chitarrista e bassista ex King Crimson, e da Carl Palmer, ex Atomic Rooster, alla batteria. I tre si uniscono per la prima volta nel 1970, anno in cui viene pubblicato il loro primo disco omonimo, che riscuote un successo immediato (l’LP contiene delle vere e proprie pietre miliari del rock progressivo quali The Barbarian, Take A Pebble, Knife Edge ma soprattutto l’arcinoto Lucky Man); seguiranno Tarkus  e Pictures At An Exibition (1971), Trilogy (1972), Brain Salad Surgery (1973), il triplo dal vivo con titolo chilometrico Welcome Back My Friends To The Show That Never Ends… Ladies And Gentlemen, Emerson, Lake And Palmer (1974) e altri successivi.
Una particolarità che mi piace ricordare: nel 1985 Carl Palmer esce dal gruppo (per entrare a far parte degli Asia) e viene rimpiazzato, per mantenere intatto il marchio di fabbrica EL&P, da Cozy Powell, ex batterista di Jeff Beck e dei Rainbow. Il gruppo prende il nome, per la durata di un disco, di Emerson, Lake and Powell.
E ora parliamo di Tarkus, un disco controverso, molto diverso dal citato primo album, e fa della sua mancanza di compattezza e disunitarietà il suo punto di forza: la prima facciata dell’LP include una suite di venti minuti divisa in sette distinti movimenti che racchiudono quanto di più bello espresso nell’ambito del progressive rock britannico; seguono sei pezzi brevi, tutti inferiori ai quattro minuti. Nell’interno-copertina del disco, bellissimi storyboard accompagnano le note e raccontano le vicende di Tarkus, la visionaria macchina animale, il curioso armadillo carrarmato che campeggia in copertina. Tarkus vede la luce da un uovo che si schiude per l’improvviso calore di un vulcano in eruzione (da qui il titolo del primo movimento, Eruption) e passa la sua esistenza tra un campo di battaglia e l’altro (Battlefield, il titolo di un altro movimento) in una continua lotta per la sopravvivenza, scontrandosi con altre creature ibride (aerei da caccia-pterodattili, manticore, ovvero creature mitiche dal viso umano, corpo di leone e coda di scorpione, peraltro animale simbolo della casa discografica), in un desolato pianeta dove forse l’uomo non ha ancora fatto la sua infausta comparsa. Rumori che raccontano il caos da cui sboccia la vita del pianeta, rasoiate di note del sintetizzatore, percussioni incalzanti e l’epica chitarra di Lake accompagnano tutta la lunga composizione, per sfociare improvvisamente (se si ascolta il CD, che vede i brani in sequenza, mentre per il vecchio LP c’era il distacco temporale necessario per il giro del disco) nella leggerezza honky tonk di Jeremy Bender, il primo dei sei brani brevi. Seguono Bitches Crystal, dal ritmo aggressivo e irregolare, con svisate pianistiche di Emerson e rabbiosi pestoni sui tamburi da parte di Palmer; l’angelica The Only Way, che apre con un organo da chiesa, l’accademico Infinite Space, che sembra disegnato per sottolineare le enormi doti del tastierista, per chiudere con i potenti riff di A Time And A Place e la scanzonata e ironica Are You Ready Eddie?, una presa in giro, pare, dedicata al tecnico del suono, probabilmente non sempre pronto nel suo lavoro.
Non so se Tarkus possa essere considerato il capolavoro assoluto di EL&P; di certo, per le ragioni che ho espresso poc’anzi, è un disco a me molto caro. Ma se, come dice Caparezza, “il secondo album… è sempre il più difficile nella carriera di un artista”, la prova mi sembra ampiamente superata!

La “mitica” Fonovaligia Lesa
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Giuseppe Ciarallo, molisano di origine, è nato nel 1958 a Milano. Ha pubblicato tre raccolte di short-stories, "Racconti per sax tenore" (Tranchida, 1994), "Amori a serramanico" (Tranchida, 1999), "Le spade non bastano mai" (PaginaUno, 2016) e un poemetto di satira politica dal titolo "DanteSka Apocrifunk – HIP HOPera in sette canti" (PaginaUno, 2011); ha inoltre partecipato con suoi racconti ai libri collettivi "Sorci verdi – Storie di ordinario leghismo" (Alegre, 2011), "Lavoro Vivo" (Alegre, 2012), "Festa d’aprile" (Tempesta Editore, 2015); suoi componimenti sono inclusi in varie raccolte antologiche di poesia: "Carovana dei versi – poesia in azione" 2009, 2011 e 2013 (Ed. abrigliasciolta), "Aloud – Il fenomeno performativo della parola in azione" (Ed. abrigliasciolta, 2016), "Parole sante – versi per una metamorfosi" (Ed. Kurumuny, 2016), "Parole sante – ùmide ampate t’aria" (Ed. Kurumuny, 2017). Scrive di letteratura e non solo su PaginaUno e Inkroci, collabora con A-Rivista anarchica e Buduàr, rivista on line di umorismo e satira. Fa parte del collettivo di redazione di "Letteraria/Nuova Rivista Letteraria" e "Zona Letteraria – Studi e prove di letteratura sociale" fin dalla fondazione.

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