Jethro Tull – Thick as a Brick

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Thick as a Brick è un disco che all’epoca della sua uscita divise nel giudizio sia la critica che i fan del gruppo: posto che da tutti veniva definito un prodotto di ottimo livello, alcuni lo indicarono come il punto più alto nella carriera dei Jethro Tull, altri videro invece un leggero passo indietro rispetto al lavoro precedente, l’elettrizzante, coinvolgente, avvolgente Aqualung.

Io mi incammino per una terza via e affermo che sia Aqualung che Thick as a Brick sono due indiscutibili capolavori, ognuno nel proprio genere; sì, perché il primo è disco pensato e realizzato nella classica forma canzone (undici brani, di varia lunghezza, uno più bello dell’altro), mentre il secondo è un’unica, sontuosa suite con forti connotazioni rock, blues e folk, venata di elaborate armonie proprie del jazz e colte variazioni pescate a piene mani dalla musica classica. Un’unica suite, dicevo, divisa equamente in due parti per rispettare le esigenze tecniche del vinile (per i lettori più giovani, quei padelloni neri antesignani dei moderni CD, che i vostri genitori/fratelli maggiori chiamavano 33 giri o più semplicemente ellepì), le cui due facciate avevano una durata che generalmente andava dai venti ai trenta minuti.

Ma Thick as a Brick non è solo la musica affascinante che contiene, non è solo il flauto magico e la voce unica e inimitabile del band leader Ian Anderson, non sono solo gli intarsi di chitarra di Martin Barre, né la maestria degli altri componenti del gruppo. Thick as a Brick è molto di più, forte di un testo poetico visionario, grumoso, in cui Anderson esprime tutta la forza dirompente del proprio pensiero. A cominciare dalla storia che ruota intorno al disco: la copertina, una delle più originali della storia del rock, altri non è che un vero quotidiano locale che si apre e si può leggere realmente (al botteghino delle rarità, una copia originale dell’LP non si trova a meno di 150 euro), un ipotetico The St. Cleve Chronicle di venerdì 7 gennaio 1972, che mostra in prima pagina la fotografia di un bimbo di otto anni, immusonito e dall’aria antipatica, nell’atto di ricevere un premio, affiancata all’editoriale che narra le vicende del piccolo genio, tale Gerald “Little Milton” Bostock, bambino prodigio e poeta in erba, dapprima premiato per la sua maestosa opera “Thick as a Brick”, poi squalificato dal concorso per le tematiche oscure dei suoi versi.

Nella finzione, e qui emerge tutta la potenza sarcastica e dissacrante di Anderson & Co., al bambino vengono attribuiti passaggi deliranti quali “il vostro sperma è nello scarico, il vostro amore nel lavandino”, parole che giustificano l’estromissione del giovanissimo artista dalla rassegna poetica che in prima battuta aveva addirittura vinto.
Concept album o meno che sia – in molti sostengono che la forma data al disco, unico brano di una quarantina di minuti, sia stata proprio un’ironica e provocatoria presa di distanza dalla moda imperante dei concept album, opere le cui canzoni erano legate da un unico filo conduttore – Thick as a Brick avrà sempre un posto d’onore nell’Olimpo della musica rock anni ’70, per quell’alone di lucida follia capace di trasformare un ottimo disco in autentica opera d’arte.

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Giuseppe Ciarallo, molisano di origine, è nato nel 1958 a Milano. Ha pubblicato tre raccolte di short-stories, "Racconti per sax tenore" (Tranchida, 1994), "Amori a serramanico" (Tranchida, 1999), "Le spade non bastano mai" (PaginaUno, 2016) e un poemetto di satira politica dal titolo "DanteSka Apocrifunk – HIP HOPera in sette canti" (PaginaUno, 2011); ha inoltre partecipato con suoi racconti ai libri collettivi "Sorci verdi – Storie di ordinario leghismo" (Alegre, 2011), "Lavoro Vivo" (Alegre, 2012), "Festa d’aprile" (Tempesta Editore, 2015); suoi componimenti sono inclusi in varie raccolte antologiche di poesia: "Carovana dei versi – poesia in azione" 2009, 2011 e 2013 (Ed. abrigliasciolta), "Aloud – Il fenomeno performativo della parola in azione" (Ed. abrigliasciolta, 2016), "Parole sante – versi per una metamorfosi" (Ed. Kurumuny, 2016), "Parole sante – ùmide ampate t’aria" (Ed. Kurumuny, 2017). Scrive di letteratura e non solo su PaginaUno e Inkroci, collabora con A-Rivista anarchica e Buduàr, rivista on line di umorismo e satira. Fa parte del collettivo di redazione di "Letteraria/Nuova Rivista Letteraria" e "Zona Letteraria – Studi e prove di letteratura sociale" fin dalla fondazione.

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