Jane’s Addiction – Nothing’s Shocking

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Los Angeles, 1987. Il Sunset Strip luccica. Brulica. Ribolle su un beat imbastardito di pop, metal e apparenza glam. Harley, calze a rete, borchie, pelle nera, pelle nuda, occhi al mascara, groupies dai seni generosi, ribellione da poster, sogno americano cotonato, cocaina, yuppies sotto speed. La città è così perfettamente nel suo momento, così attratta dal riflesso di sé stessa, da un lento trascinarsi di alba, tramonto e ancora alba, che pare un sovrano talmente inebriato dai fumi di una chiassosa orgia da non accorgersi che il castello è preso d’assedio. I semi della gramigna che spazzerà via Los Angeles da Los Angeles sono nell’aria un po’ ovunque, e trovano terra fertile poco più a sud dello Strip, oltre i ristoranti della Ciniega e l’ordinato dedalo ottagonale delle strade di La Brea. Là dove la skyline di Downtown L.A. si fa concreta, Hancock Park domina il sobborgo di Wilton e la dipendenza, l’addiction, non è una semplice questione ricreativa, ma una maledetta way of life.

Eric Avery (bassista, ventidue anni, in riabilitazione da sei), Perry Farrell (cantante, visionario, autore, ventotto anni spesi sul confine del lato oscuro), Dave Navarro (vent’anni, abbracciato ad una Gibson Les Paul non conosce rivali, ma la sua vera compagna, l’unico affetto che può colmare il vuoto di una madre brutalmente assassinata, risponde al nome di eroina) e Stephen Perkins (vent’anni, talentuoso batterista, l’unico pulito del gruppo) bazzicano una grande casa del primo Novecento, un hub di scoppiati, freaks, artisti, tossici. Talenti.
La Warner Bros se li è da poco assicurati sbaragliando la concorrenza delle altre grandi major americane a colpi di offerte al rialzo, una bidding war che ha portato nelle tasche della band la cifra record di 300.000 dollari. Il L.A. Weekley, l’autorità mediatica di strada losangelina, li ha nominati Best Underground Band e Best Hard Rock Band dell’anno, il tutto senza che un solo solco di vinile in circolazione ne documenti la musica.
Un’altra grande truffa del Rock n’ Roll? Un altro pallone mediatico in pieno stile Los Angeles? No, non questa volta. Non stando al palco. Lì, sull’altare primo e ultimo del far musica, dove nient’altro conta se non lo show, dove il sudore illuminato di taglio è una stigmata della verità, dove mostrare i gioielli di famiglia è molto più di una colorita metafora e dove le psicosi, l’eroina, l’arte cedono il passo all’espressività, i Jane’s Addiction sono la più bella “cosa” della Los Angeles del presente: sono la Los Angeles del futuro.
Dopo un album live per l’indipendente XXX records, un punto esclamativo sul proprio stato dell’arte, i quattro, con le mani nel portafoglio Warner e allo stesso tempo saldamente trincerati nella propria indipendenza artistica, si ritrovano nell’invidiabile posizione di perseguire la propria idea creativa senza preoccuparsi del budget. A queste rosee premesse fa da contraltare il logorio dei rapporti all’interno della band, ormai ridotta ad un’empatia umana slabbrata dalla dipendenza in cui i tentativi di ripulirsi, le profonde ricadute, l’ego e le gelosie, i litigi per la suddivisione delle royalties sono una quotidiana spada di Damocle pronta a distruggere il giocattolo prima del tempo. Solo la visione di Perry Farrell e la sua trasversale capacità artistica sono il collante, il polso fermo, l’elemento in grado di trascinare quattro sensibilità oltre lo squallore delle barriere personali, oltre le pupille a spillo, verso un comune obiettivo: Nothing’s Shocking.
Il primo disco anni ’90 viene pubblicato il 23 agosto 1988, dopo quattro turbolenti mesi di lavorazione a fianco del produttore Dave Jerden. La scelta non convenzionale di Jerden, imposto dalla band alla Warner sulla scorta dei sui precedenti lavori a fianco di Brian Eno, è di angolare importanza nel tentativo, riuscito, di spingere lontano dai cliché del tempo il suono del gruppo, un melting pot spiazzante di hard rock anni Settanta, funk, virtuosismi strumentali (Navarro/Perkins) ed echi dilatati di quella scena post-punk/goth che aveva fatto risplendere L.A. nei primi anni ’80 (Farrel/Avery). Jerden ci mette del suo e Nothing’s Shocking suona come nient’altro in quello scorcio finale di anni Ottanta. Le pelli di Perkins rimandano al beat dei Talking Heads pompato di steroidi, il basso di Avery detta il groove e rivendica per le quattro corde un ruolo che il rock del tempo sembra aver dimenticato, la chitarra di Navarro sputa riff basici, taglienti incastri ritmici e generosi assolo in colate di echo e riverbero, la voce di Farrell raggiunge livelli di personalità ed eclettismo senza pari a sostegno di parole reali. Nothing’s Shocking in undici brani mette d’accordo tutti: l’heavy rocker e il punk, le visioni della scena arty e le oscure traiettorie dei gusti goth, il passato e il futuro, lo Strip e Downtown L.A.
Il tenore generale del disco vive di un groovy hard rock di matrice chitarristica, ben esemplificato nelle ottime Mountain Song (il primo singolo estratto), Had a Dad, Ocean Size e Summertime Rolls.
La perla della raccolta è tuttavia Jane Says, nascosta quasi in fondo al disco e già presente nel live per XXX, una semplice ballata che deve molto a Lou Reed, a partire dal titolo, e che da sola è in grado di spiegare il mondo Janes’s Addicition, i suoi personaggi di confine e la sensibilità di Farrell nel mettere in parole ciò che lo circonda.
Come ogni album epocale che si rispetti Nothing’s Shocking è, nell’immediato, poco più di un flop commerciale, con 250.000 copie vendute in America nel primo anno di uscita (ne venderà poi complessivamente più di un milione, raggiungendo il disco di platino). Non aiuta in tal senso una copertina a base di gemelle siamesi senza veli e con la testa in fiamme o il frammento delle stesse che fa capolino nel delirio psichedelico del videoclip di Mountain Song, elementi che contribuiscono ad alienare alla band le grandi catene commerciali di distribuzione e il supporto di MTV.
Questo senso di integrità artistica, tuttavia, mette sull’altare la coerenza e l’autonomia con cui i Jane’s Addiction si muovono, malgrado il disordine personale e le fratture interiori, gettando i semi che faranno germogliare l’Alternative Nation degli anni Novanta, con il marcato tratto di diversità tra i due decenni: l’indipendenza. Il marchio più importante che lascia Nothing’s Shocking non riguarda le masse ma le singole persone, le singole coscienze artistiche e le singole percezioni di sé come musicisti sul fare del nuovo decennio. Le testimonianze di assoluto rispetto non si contano e riguardano la quasi totalità delle band e dei musicisti che segneranno indelebilmente i vent’anni a venire: Pearl Jam, Nine Inch Nails, Red Hot Chili Peppers, Marilyn Manson solo per citarne alcuni. I Jane’s Addiction non raggiungono una frazione della fortuna di questi nomi illustri: la loro storia parla sin dal nome di dipendenza, dell’incapacità di sopravvivere a sé stessi, di un destino di autodistruzione che, anche la natura lo insegna, è momento di passaggio verso nuove forme, ere, linguaggi.
Il periodo auero dei Jane’s Addiction (tutt’ora in attività) si esaurisce nel giro di pochi anni, dopo un ulteriore album (Ritual de lo Habitual) che riscuote immensi favori di pubblico e il primo scioglimento cui la band arriva in condizioni relazionali e psicofisiche distruttive. Per congedarsi, per far risuonare il proprio canto del cigno in ogni lato d’America, Perry Farrell trasforma il tour d’addio della band in una celebrazione itinerante: la prima edizione del Lollapalooza Festival.
E’ il 26 settembre 1991, ad Honolulu, Hawaii: l’ultimo show, tempo di dire stop.
Da due giorni un disco dalla copertina curiosa alberga negli scaffali dei negozi di mezzo mondo. Ritrae un neonato in apnea che insegue una banconota da un dollaro infilata in un amo a mo’ di esca. Nel breve volgere di qualche mese si consumerà l’ultima grande rivoluzione discografica del mondo conosciuto. Inizia un’altra storia.

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Paolo “Blodio” Fappani: Milano 1973 Musicista e operatore culturale bresciano, dal 2001 è direttore artistico e co-direttore di produzione del festival musicale ARENASONICA. Dal 2009 è fondatore e membro del consiglio direttivo dell’ASSOCIAZIONE CULTURALE LATTERIA ARTIGIANALE MOLLOY. Negli ultimi vent’anni ha suonato centinaia di concerti e registrato dischi con diverse band e artisti bresciani (Cinemavolta, Paolo Cattaneo, Van Cleef Continental). Attualmente è in tour in Italia ed Europa con la sua band SEDDY MELLORY e con il promettente trio bresciano MARYDOLLS.

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