J.D. Salinger – Nove racconti

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Nell’immaginario collettivo, Jerome David (per tutti J.D.) Salinger rappresenta il prototipo dell’uomo misterioso e, insieme, dello scrittore magistrale. A parte i testi pubblicati – un solo, celeberrimo romanzo e qualche decina di racconti, distribuiti fra riviste e antologie – di lui si sa ben poco: che nacque a New York nel 1919; che fu di discendenza ebraica; che partecipò alla Seconda Guerra Mondiale sul fronte europeo; che fu un profondo conoscitore delle filosofie orientali; e che, dopo aver raggiunto il successo, dal 1965 si chiuse in un volontario isolamento, senza mai più pubblicare nulla né dare interviste fino al 2010, anno della sua morte.
I fatti, tuttavia, non spiegano la sua arte: a prima vista v’è qualcosa di contraddittorio, di irrisolto in questo autore. Non c’è dubbio che l’uomo Salinger si sia impegnato, nel corso della sua vita, in una lunga, inarrestabile, rabbiosa fuga dal prossimo. D’altra parte è evidente che il dono più prezioso del Salinger scrittore si trova nella purezza dello sguardo, nell’abilità di descrivere le cose del mondo con la precisione, la sensibilità e la perfetta naturalezza di un piccolo genio sapiente. Ciò che ci può far amare Salinger è precisamente questa coincidenza di opposti: tenerezza e ribellione, indignazione adolescenziale e saggezza antica, asprezza giovanile e misteriosa chiaroveggenza. In altre parole: la sua peculiare capacità di essere nel contempo misantropo come un vecchio e innocente come un bambino.
Come dar conto di questa contraddizione? O, meglio, si tratta veramente di una contraddizione? Domande come queste non si esauriscono mettendo in fila i nudi accadimenti della biografia di Salinger. Sarà opportuno, piuttosto, ricercare come i fatti particolari della sua vita abbiano contribuito alla creazione di opere esemplari, rappresentative di un modo di vivere, un tempo collettivo e un luogo esattamente definiti: la società degli Stati Uniti d’America fra gli anni Quaranta e gli anni Sessanta del ventesimo secolo.

Proviamo a trarre alcune risposte dall’analisi dei Nove Racconti (1953), testo che, a nostro parere, è il mezzo più adatto per penetrare nel mondo artistico di Salinger. Il suo libro più famoso, il romanzo Il giovane Holden (1951) – una cronaca della sfortunata ribellione di un eroe adolescente contro la falsità del mondo degli adulti –, mostra infatti, pur nell’eccellenza dei risultati, solo uno fra i nuclei ispirativi di Salinger, essendo giocato nella chiave della misantropia del giovane protagonista, la cui voce in prima persona risuona dalla prima all’ultima riga. Al contrario, i Nove Racconti rappresentano un punto di svolta nella carriera di Salinger, e lo impongono come autore di grande livello: per la varietà dei temi trattati, la profondità e l’equilibrio del pensiero, la maestria dello stile.
Questi racconti, quasi tutti apparsi negli anni precedenti alla pubblicazione antologica sul New Yorker, condividono alcune peculiarità formali: sono piuttosto brevi, contengono scene di vita contemporanea e mettono in scena personaggi appartenenti alla media o alta borghesia. Il tempo della narrazione, a parte qualche ellisse, è quello della contemporaneità. La prosa è chiara, il tono è insieme distaccato e partecipato, lo stile è semplice ed economico, le vicende sono lineari. Salinger, più che fornire un’interpretazione dei fatti, li mostra nel loro accadere, esplorando raramente lo stato di coscienza dei personaggi. Preferisce piuttosto mantenersi in superficie, affidando i significati alle azioni, ai dialoghi e ai gesti e lasciando che sia il lettore a estrapolarli.
I nove racconti, che a una prima lettura possono sembrare isolati l’uno dall’altro, sono in realtà disposti in modo tanto sapiente da svelare, se considerati nell’insieme, la visione dell’autore sui piccoli splendori e le grandi miserie della società americana. Nella sua voluta frammentarietà, la raccolta costituisce, infatti, un unicum in cui ciascuna delle parti risuona e si richiama di continuo alle altre.

I Nove racconti si aprono con Un giorno ideale per i pescibanana, che narra la vicenda di Seymour Glass, un giovane reduce su cui l’orrore della guerra ha influito in modo irreparabile, distaccandolo da ogni rapporto umano “normale”. L’unico conforto che Seymour sembra trovare alla sua disperazione è nell’amicizia, a volte innocente, a volte vagamente morbosa, con Sybil, una bambina incontrata durante una vacanza in Florida. È a Sybil che Seymour affiderà il suo estremo messaggio, raccontandole l’enigmatica storia dei pescibanana che, per l’eccessiva voracità, ingrassano a tal punto da non poter più uscire dalla grotta ove sono entrati per mangiare.
Questo racconto, sia per la posizione occupata che per la ricchezza dei temi, costituisce da un lato l’introduzione alla raccolta, e dall’altro spiega come Salinger abbia saputo riutilizzare le proprie esperienze di vita nella creazione artistica. Vi ravvisiamo infatti i motivi della Guerra, i cui effetti devastano forse più la mente che il corpo dei personaggi; della Morte, che aleggia dovunque fino a manifestarsi nel finale; del rapporto fra Genio e Pazzia, di cui Seymour, a metà strada fra illuminazione e disadattamento, è un degno rappresentante; dei Bambini, ritratti come gli unici esseri in grado di capire e di vedere chiaramente il mondo (tema comune a Il giovane Holden); della Società Americana (o forse dell’umanità intera), prigioniera del suo stesso materialismo, di cui i pescibanana sono una rappresentazione obliqua, ma terribilmente esatta.

Nel secondo racconto, Lo zio Wiggily nel Connecticut, l’incontro delle due vecchie compagne di università Mary Jane ed Eloise, fra pettegolezzi e bicchieri di whisky, è un pretesto per mettere a nudo lo squallore della provincia statunitense. Sarà solo nel ricordo di un amore perduto, per un uomo morto in guerra, che Eloise, pur consapevole della falsità e della disperazione che ormai la circondano, troverà un precario senso alla propria esistenza.

Alla vigilia della guerra contro gli Esquimesi mette in scena i rapporti fra un gruppo di giovani. Anche qui risuonano i motivi già delineati, espressi con toni apparentemente più leggeri: fin dal titolo, che allude al conflitto fra le due Coree, riappare la guerra, forse solo immaginata, ma sempre presente nelle coscienze. Non mancano poi le allusioni alla follia, al senso di disadattamento, al materialismo e all’amore difficile o non corrisposto.

L’Uomo Ghignante è scritto in prima persona con il punto di vista, inconsapevole e profondissimo, di un bambino di nove anni. Ancora una volta esso narra di un amore infelice fra due giovani, Il Capo e Mary Hudson, ma introduce anche il tema metanarrativo del senso e della fascinazione del Raccontare, mettendo in luce il legame strettissimo fra arte e vita. È significativo, in questo senso, che la storia dell’Uomo Ghignante, raccontata ai bambini dal giovane Capo innamorato, abbia un brusco e tragico arresto proprio quando egli si rende conto della fine del proprio rapporto con Mary.

In Giù al dinghy, dopo il Seymour protagonista del primo racconto, appaiono Boo Boo e Lionel, altri due membri della famiglia Glass, che ritorneranno nelle successive opere di Salinger. Si tratta del testo più autobiografico della raccolta, con il piccolo Lionel che adombra la figura dell’autore stesso. Vi si racconta del senso di smarrimento e di ribellione provocati nel bambino da una battuta antisemita che egli ha sentito pronunciare contro il padre. Sarà Boo Boo a fugare il dolore precoce del figlio, facendogli intuire che paura e isolamento possono essere superati grazie al reciproco sostegno e all’affetto delle persone care.

Per Esmé: con amore e squallore, forse il vertice della raccolta insieme a I pescibanana, è la storia di un fugace incontro fra due giovani esseri umani in una piovosa, disperata Inghilterra nell’imminenza dello sbarco in Normandia: il sergente X, un soldato americano sedicente scrittore, in attesa di partire per il fronte, ed Esmé, una ragazzina tredicenne che ha da poco perso il padre nel conflitto. Racconto delicatissimo e privo di morbosità, esso mette in scena un breve, indimenticabile rapporto umano, che porterà i due protagonisti a capire, ciascuno a suo modo, che la vita è degna di essere vissuta se solo può offrire i momenti che essi hanno avuto la fortuna di condividere.

Bella bocca e occhi miei verdi è un altro atto d’accusa contro il conformismo della società americana. Esso descrive, in modo indiretto, ma non per questo meno amaro, il tradimento di Joanie, moglie di Arthur, con Lee, il miglior amico del marito. Senza rappresentare l’infedeltà, Salinger si concentra sulla conversazione telefonica fra i due uomini, in cui Lee, che è nel proprio letto con accanto Joanie, mente nel tentativo di convincere l’amico della falsità dei sospetti che egli nutre verso la donna. All’inganno di Lee si aggiunge quello di Arthur che, forse per salvare la rispettabilità del proprio matrimonio, richiama l’amico per comunicargli che Joanie, in realtà ancora vicina a Lee, è ritornata da lui. La menzogna, sembra dirci Salinger, domina a tal punto gli uomini da privare di senso anche i rapporti più saldi.

Negli ultimi due racconti appare un altro dei grandi temi della raccolta, quello del Misticismo di origine orientale, che l’autore contrappone al vuoto spirituale dell’ambiente in cui vive. Il primo, Il periodo blu di De Daumier-Smith, narra la storia di John Smith, un giovane istruttore di disegno, e della sua relazione epistolare con Suor Irma, una religiosa che, pur rivelandosi straordinariamente dotata nell’arte della pittura, decide di rinunciarvi per dedicarsi interamente alla propria vocazione. Il racconto, che si apre su toni umoristici per chiudersi con accenti religiosi, si segnala principalmente per l’epifania del sole che, di notte, sorge davanti a John Smith “alla velocità di novantatre milioni di miglia al secondo”, e che certamente allude alla misteriosa presenza di Dio nel mondo.

Il racconto finale, Teddy, completa la simmetria della raccolta, essendo specularmente affine al testo di apertura. Non soltanto perché, come I pescibanana, esso mette in scena un altro membro della famiglia Glass, ma soprattutto in quanto condivide con il primo testo la riflessione sulla Morte, o sulla fragilità della vita, e la compresenza di Genio e Pazzia in un solo essere umano. Come Seymour, anche Teddy è, infatti, insieme folle e sapiente, diviso fra comportamenti inusuali e profondissime meditazioni mistiche.
A conclusione e a suggello dei Nove racconti, dopo una galleria di personaggi in cui si è solo parzialmente rispecchiato, è in Teddy che, a nostro giudizio, Salinger si raffigura e si rivela più chiaramente.
In lui, e nella sua sorte forse fatale, lo scrittore, riconfermando la propria natura di misantropo innocente, allude al proprio desiderio, mai completamente realizzato, di una vita spirituale e solitaria a dispetto di un ambiente ostile, materialista e negato a ogni forma di illuminazione.

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Un altro uomo invisibile che galleggia in mezzo al mare del nulla, è arduo definirlo sia per tratti somatici che per età. Campa la vita lavorando, di contraggenio, in uno dei templi assoluti della brescianità e, ciò nonostante, ne prende ispirazione per le cose che scrive. Espulso da tutti i circoli cui si è aggregato, gli amici lo chiamano “Wikipedia” a causa dei discorsi incomprensibili e della pronunzia, che confonde in un unico suono le erre, le elle, le vu, le pi, le bi, le esse e le effe. Sostiene di essere pacifista, ma si vanta di aver redatto, molto tempo fa, alcuni testi rivoluzionari per un ex-guerrigliero irascibile e avarissimo, ora convertitosi al libero mercato.

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