Per Olov Enquist – Il libro di Blanche e Marie

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Una struttura pressoché perfetta che contiene sedimenti di morbosità e rilascia sapientemente immagini che colpiscono la mente, al pari di tannini vivi che colpiscono il palato: ecco che, come un vino d’annata, questo prezioso romanzo va fatto decantare.

Una volta terminato questo libro va chiuso, va fatto liberare e respirato profondamente. Veniamo colpiti come da uno schiaffo, non forte, ma improvviso, e dobbiamo sentire il bruciore e il formicolio sulla guancia per poterlo vivere completamente.

Il fil rouge che lega riflessioni, ricordi, storie, personalità della scienza moderna pennellate con generosi tratti materici e corposi, è un diario scritto da Blanche, “regina delle isteriche”, paziente di Charcot nell’ospedale Salpêtrière di Parigi, assistente di laboratorio di Marie, la Curie del radio, del Nobel, dei Nobel e dello scandalo. Un diario che, come giustamente sottolineato da Dacia Maraini nella lucida e pulita postfazione, profuma di artificio letterario: forse Blanche Wittman non ha mai scritto questo Libro, forse Enquist lo ha inventato. Ma questo non interessa al lettore. Forse anzi, verificare la sua esistenza o meno, sarebbe un calcare la mano. Non è quello il punto.
Un diario scritto con l’unica mano rimasta su un corpo ridotto ad un tronco a causa delle amputazioni dovute alle radiazioni subite nel laboratorio dei Curie. Un tronco di essere umano che parla d’amore, del suo ma non esattamente. Dell’amore delle persone a lei vicine e dell’Amore, quello che capiscono tutti, ma che forse non capisce nessuno, ma che comunque tutti provano a capire.
È in sostanza la storia di una scoperta scientifica, quindi in un certo senso una storia che appartiene all’umanità, ma strettamente intrecciata alle vicende personali di Blanche e di Marie, in un linguaggio sorprendentemente femminile che rivela la poesia dentro la ricerca, l’essere umano dietro lo scienziato, il soggettivo dietro l’oggettivo. Persino nei personaggi appena accennati, come Sigmund Freud o Albert Einstein, si fa riferimento alla loro figura umana e non a quella scientifica, o storica, se vogliamo; e il riferimento è muto, non esplicitato.
Ovunque risuona la voce di Enquist: i suoi ricordi, il suo filtro, la sua interpretazione. Incredibile quanta personalità ci sia in un libro che parla di vite di altri.
Con un tono sommesso, quasi ipnotico, ma carico di immagini travolgenti e magiche, lo scrittore scava nel profondo, realizzando una sorta di esame autoptico dell’amore, dell’emotività, del dolore.
Sullo sfondo, la luminescenza tossica del radio, un baluginare tanto incantevole quanto velenoso, in evidente analogia con la riflessione sull’amore che percorre tutto il romanzo.
Questo letale bagliore accompagna costantemente la lettura, immergendo il lettore in un’atmosfera ovattata, sognante e allo stesso tempo crudele: “Per lungo tempo Blanche avrebbe ricordato quella domenica pomeriggio in cui lei e Marie, due donne belle, sole in laboratorio, mano nella mano davanti all’inspiegabile miracolo, si erano ritrovate avvolte da quei colori e da quelle misteriose radiazioni che, senza che ne fossero consapevoli, rappresentavano l’ingresso della modernità in quel museo dell’amore che erano i loro due corpi ancora perfetti”.

Per Olov Enquist è uno scrittore, drammaturgo, e giornalista svedese nato nel 1934 nella regione del Västerbotten. Dopo una laurea in Storia della Letteratura conseguita presso l’Università di Uppsala, Enquist inizia a lavorare come critico culturale per due tra le maggiori testate svedesi, affermandosi sulla scena culturale della Svezia tra gli anni ’60 e ‘70. È stato insignito di numerosi premi, tra cui il Premio letterario del Consiglio nordico, il premio Selma Lagerlöf e il premio Flaiano. Le sue opere sono tradotte in tutto il mondo in più di 20 lingue.

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