Onryo, avatar di morte

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Italia-Giappone 3-2

In questa antologia, che affianca sei racconti di horror japanesque e di j-horror ad altrettante novelle di autori italiani, l’andamento è, come spesso, accade, assai diseguale e, nonostante opere decisamente di ottimo livello, la media dei racconti non soddisfa appieno né le esigenze di noi lettori, né la curiosità verso un genere poco frequentato dagli editori nostrani.

Si parte subito col botto, con l’ottimo La voce del cadavere (1996) di Masako Bando e il discreto Antracite di Alessandro Defilippi, autore che ha anche il pregio di una scrittura molto fluida e mai banale. Si prosegue, purtroppo, con tre opere mediocri, Il caso del bagno pubblico Odoro (1990) di Masahiko Inoue (partenza suggestiva, finale telefonatissimo), Fobia di Samuel Marolla (che si dimostra comunque scrittore di razza, grazie all’abile messa in scena e allo stile impeccabile) e Una storia vera (1996) di Nanami Kamon (nonostante il finale estremamente sciatto, è uno di quei racconti che non si dimenticano grazie alla suggestione della scrittura).

Ci si blocca a metà con il pessimo Barocco kaidan di Massimo Soumaré (curatore, insieme a Danilo Arona, dell’antologia e traduttore di tutti i racconti giapponesi), che davvero fa affondare l’antologia con una narrazione noiosa e per nulla coinvolgente, oltre i limiti della sopportazione.

Ci si riprende, fortunatamente, con La madre del kudan (1968) di Sakyo Komatsu, racconto in cui si mischiano efficacemente Storia e sovrannaturale, riuscendo a dare un brivido realistico, e Il cacciatore di figli posseduti, un’imprevedibile vicenda congegnata dal sempre sorprendente Stefano Di Marino, una delle migliori penne del nostro Paese. Si torna alla mediocrità con Chiarore lunare (1991) di Hiroko Minagawa, una storia coinvolgente e ben scritta che s’inabissa, purtroppo, in un finale prevedibilissimo.

Si ritorna a galla con Vale va bene, forse il miglior racconto di tutta l’antologia, con un Danilo Arona in gran forma e in grado di superare anche se stesso. Ci si annoia con Paura dal monte degli Dei (1999) di Yoskiki Shibata, storia a cavallo tra giallo e arcano sciatta e banale, e ci si deprime con la lettura di La donna dai capelli ramati di Angelo Marenzana, racconto insipido, mal scritto e peggio congegnato, privo di qualsiasi spunto di interesse.
Tutto sommato un’antologia che, dimezzata, avrebbe potuto essere un ottimo prodotto; ma, nelle condizioni in cui ci è stata consegnata, meriterebbe l’oblio per la metà dei testi presentati.

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