Matthew G. Lewis – Il Monaco

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Spiritualità o passione?

Gli abusi sessuali e il possesso di materiale pornografico da parte di religiosi appartenenti alla Chiesa Cattolica sono episodi che hanno avuto una vasta eco mediatica, e i fatti di violenza perpetrati all’interno dei palazzi sacri scuotono l’opinione pubblica, non senza una certa pruderie. Tutto questo accade ai giorni nostri, ma già nel 1796 lo scrittore inglese Matthew Gregory Lewis aveva pubblicato The Monk (Il Monaco), un romanzo che trattava questi argomenti.

Matthew Gregory Lewis

Prima dell’analisi dell’opera è doverosa una nota biografica sull’autore che, proprio grazie a questo libro, sarebbe stato soprannominato Matthew “Monk” Lewis.
Matthew Gregory Lewis, nato a Londra il 9 luglio 1774 da famiglia benestante, sin da giovane si dilettò di teatro e letteratura. La carriera diplomatica cui era destinato gli permise di coltivare assiduamente questa sua passione e di avvicinarsi ai più importanti nomi della letteratura del suo tempo, quali Goethe, conosciuto a Weimar nel 1792, Byron e Shelley.
Lewis, impiegato quale attaché presso l’ambasciata britannica a L’Aja, avendo molto tempo a disposizione, scrisse The Monk (Il Monaco) di getto, in dieci settimane, come egli stesso amava ricordare. Al termine della stesura fece rientro a Londra per la pubblicazione. Fu un grande successo. Sempre nel 1796 entrò in Parlamento e aggiunse al proprio nome la sigla M.P. (Member of Parliament). Proprio per questo motivo, la ristampa del libro gli procurò non pochi guai: venne citato in tribunale e ricevette l’ingiunzione di purgare il romanzo, ordine cui ottemperò prontamente.

Le opere che seguirono ebbero un notevole successo, forse più mondano che letterario, tanto che una sua ballata, ispirata alla figura di Crazy Jane, lanciò la moda detta appunto del “cappello alla Crazy Jane”. Tradusse Giovenale e adattò opere di Schiller, Zschokke, Kleist e altri scrittori minori, ma come autore vero e proprio, dopo Il Monaco, non registrò altri successi.

Alla morte del padre ereditò una notevole fortuna e, nel 1815, partì per le Indie Orientali per visitare i propri possedimenti. Durante questo viaggio scrisse Journal of a West Indian Proprietor, pubblicato postumo nel 1833. Al suo rientro dal primo viaggio in Giamaica (1816) si recò a Ginevra, dove incontrò George Gordon Byron e Percy Bysshe Shelley, con i quali ebbe modo di confrontarsi sul mondo della magia nera, sulla stregoneria e sui fantasmi. Proprio in quel periodo Mary Shelley concepì l’idea del romanzo Frankenstein.

Nel 1817, di ritorno dal suo secondo viaggio in Giamaica, morì di febbre gialla, e il suo corpo fu affidato al mare.

Il Monaco

Se l’amore fosse una colpa,
perché Dio l’avrebbe fatto così dolce?
M.G. Lewis 

Quando Ambrosio scopre che Rosario, suo adorato confratello, è, in effetti, Matilda, una donna innamorata di lui, conosce prima la tentazione e poi, nonostante i suoi tormenti interiori, il peccato; al punto che la sua lussuria non conosce più limiti, perché il rapporto con Matilda non lo soddisfa più e, in cerca di una nuova fonte di piacere, s’innamora della giovane Antonia. Per appagare i suoi desideri, grazie all’aiuto di Matilda ricorre alla stregoneria riuscendo, una notte, a entrare nella casa di Antonia per stuprarla. Ma Elvira, madre della giovane, lo scopre e Ambrosio si vede costretto a ucciderla per non essere smascherato. Assalito dal rimorso, non gli resta che fuggire.

Sempre consigliato da Matilda, decide di avvelenare Antonia, affinché sembri morta e la possa quindi seppellire in una cripta dove solo lui potrà entrare. Il piano riesce e la giovane viene violentata, ma, nel frattempo, un manipolo di soldati scopre il nascondiglio e arresta il monaco – che aveva già pugnalato a morte Antonia – e la sua complice.

Ambrosio e Matilda sono consegnati all’Inquisizione, torturati e condannati a morte. Convinto da Matilda, e seguendone l’esempio, pur di sfuggire alla pena capitale, il monaco vende la propria anima al diavolo, che però, subito dopo averlo fatto evadere, prima di ucciderlo gli rivela non solo che Matilda è, in realtà, un demone minore, inviato deliberatamente per tentarlo e farlo peccare, ma anche che Antonia era sua sorella ed Elvira sua madre; e che l’Inquisizione aveva deciso di concedergli la grazia. Quale macabra beffa: la decisione di Ambrosio di consegnare la propria anima al diavolo è stata del tutto inutile!

Il Gotico nel Monaco di Matthew G. Lewis

L’azione del romanzo si svolge a Madrid e segue una direzione essenzialmente gotica, poiché non si limita alla vicenda di Ambrosio, monaco spagnolo considerato da tutti un santo, vissuto in convento sin dalla più tenera età riuscendo sempre a evitare il peccato, ma racconta anche le storie sussidiarie che si muovono alla scoperta dell’infinito pericolo nascosto dentro e al di sotto di ciò che è sempre sembrato familiare e sicuro.
È la sua stessa finzione gotica, con la sua potenza, a coinvolgerci nelle scoperte che via via si susseguono senza lasciarci nella condizione di osservatori esterni, di estranei. Per esempio, il primo luogo che incontriamo durante la lettura è la Cattedrale dei Cappuccini: ambiente vivo, riempito dalla gente, dalla vita e, quindi, sicuro, familiare. Ma ecco che, non appena la gente se ne va e la chiesa si svuota, diventa improvvisamente insicuro, pericoloso, buio.
Tutto il romanzo trabocca di zone e situazioni certe che si trasformano in luoghi di pericolo dove spadroneggiano oscurità e irrazionalità. La passione sessuale è l’irrazionalità più frequente, oltre che la più gotica. Nel caso specifico del monaco, la repressione sessuale è stata così forte che risulta impossibile una sua manifestazione esteriore con un’espressione innocente: la sua sessualità diventa pertanto il tramite delle violente asserzioni della sua volontà.

Come si accennava, le vicende sussidiarie, pur essendo di compendio alla principale, non vengono risparmiate dalle direttive gotiche del romanzo. Tra i personaggi secondari ci sono Agnese, sorella di Antonia, e il suo promesso sposo Raimondo. Quest’ultimo narra all’amico Lorenzo la storia d’amore con Agnese, che diventa un vero e proprio racconto all’interno del racconto nel quale compaiono altre figure caratteristiche del romanzo gotico, come la Monaca Sanguinante e l’Ebreo errante.
Raimondo e Agnese, amanti “moderni” e “razionali”, devono infatti fare i conti con l’irrazionalità della Monaca Sanguinante; Raimondo impara a proprie spese che il suo naturale desiderio erotico nei confronti di Agnese è complicato dall’esistenza di forze, solo occasionalmente visibili, legate al passato. In seguito, tali forze abbandonano le vesti della Monaca Sanguinante per assumere quelle dell’antico codice del convento: ad esso, infatti, la viziosa Madre Superiora attinge a piene mani al fine di poter condannare Agnese ad essere rinchiusa nelle segrete del convento insieme al corpicino del bimbo avuto dalla relazione con Raimondo.

La Cattedrale, la vita monastica, la Chiesa in generale, sembrano luoghi sicuri, chiari, certi, ma, in realtà, risultano essere gli elementi che segneranno la condanna di Ambrosio: la vita monastica significa un’educazione corrompente, la Cattedrale è il luogo dove l’autoesaltazione di Ambrosio trova il suo conforto, la Chiesa è il tramite che rende possibile tutto questo. In tal modo Matthew Gregory Lewis dà un importante esempio nello sviluppo del tradizionale eroe gotico, facendo di Ambrosio un personaggio nel quale splendide potenzialità diventano qualità distruttive.

Al momento della pubblicazione, Il Monaco riscosse un grande successo, anche se i temi scabrosi in esso trattati gli procurarono non poche critiche; tuttavia Samuel Taylor Coleridge, uno dei più importanti poeti romantici inglesi, non poté fare a meno di lodarlo. Il Marchese D.A.F. De Sade, anni dopo la comparsa del romanzo, affermò che si trattava di un vero capolavoro della narrativa gotica.

Nel corso del XIX secolo il romanzo fu dimenticato, ma nei primi decenni del Novecento il movimento surrealista lo riscoprì proprio a causa della sua carica trasgressiva e libertina. Artisti come Antonin Artaud – commediografo, scrittore e regista teatrale francese – e André Breton – scrittore, poeta e critico d’arte, teorico del surrealismo – ne furono influenzati. Questa riscoperta fece sì che nel XX secolo si ricominciasse a prendere in considerazione questo meraviglioso romanzo.

Dalla Santità alla Dannazione

John Berryman, nella sua introduzione al testo originale di The Monk, pubblicato nel 1952 dalla Grove Press di New York, affermava che il punto centrale del romanzo era la conduzione di un uomo dalle rari doti spirituali a una dannazione completa, sorprendendosi di quanto tempo ci volesse e di quanto fosse difficile essere certi dell’avvenuta perdizione.
Quali sono stati dunque i passaggi intermedi che hanno portato Ambrosio dalla quasi Santità alla certa e inequivocabile Dannazione?

Punto fermo è l’educazione che il giovane Ambrosio riceve in convento: egli cresce, si educa e si forma sviluppando al massimo tutte le proprie virtù ma, al tempo stesso, il suo Eros viene represso nel profondo del suo Io. Inevitabile, quindi, che la scoperta della prima donna – Matilda, ovvero il falso novizio Rosario, ovvero un demone –, del suo corpo e della sua femminilità provochino in lui uno sconvolgimento psichico enorme; di colpo, tutto quanto gli è sconosciuto e negato diventa quotidiano, tangibile: bramosia e lussuria convivono costantemente in lui turbandolo, tentandolo e distruggendolo nel corpo e nello spirito.
Così si compie l’operato satanico. Rosario/Matilda/Demone ha colpito e fatto centro nell’unico punto fortemente vulnerabile di Ambrosio: la sua sfera sessuale. D’altro canto, cos’altro poteva offrire Satana al monaco in cambio della sua anima? Forse una promessa di Santità? Ambrosio già la stava raggiungendo, giorno dopo giorno, grazie alla sua ferma convinzione religiosa. Forse la potenza terrena? Ma egli era già potente: le mogli dei grandi volevano solo lui come confessore, e alle sue omelie del giovedì tutta Madrid accorreva nella Cattedrale per ascoltare le sue parole. Forse la fama? O il denaro? No, erano tutte cose che Ambrosio già possedeva o avrebbe potuto possedere se solo ne avesse manifestato il desiderio. La sessualità repressa, quindi, era l’unica via dalla quale l’operato satanico doveva passare; ed è molto significativo il fatto che Lewis abbia scelto, come luogo in cui la tentazione si manifesta, il giardino del convento, evocazione e trasposizione del peccato originale e dell’Eden: Eva e il serpente condannano Adamo; Matilda, con l’aiuto del morso di una serpe nascosta nel roseto, segna la condanna di Ambrosio.
Da quel momento in poi la vita del monaco diventa una continua, tremenda prova: in antitesi alla sua stessa figura, nasce dentro di lui un “anti-monaco”, in tutto e per tutto il suo esatto opposto. Prima del crollo definitivo assistiamo, per il resto del romanzo, a un continuo dibattersi di Ambrosio tra monaco e anti-monaco, tra vero e falso, tra bene e male; da una parte, l’abate cerca, con uno sforzo disperato, di mantenere i suoi obiettivi primari, soprattutto nell’esteriorità, affinché la sua figura di uomo santo resti tale agli occhi della gente; dall’altra, l’anti-monaco propone una nuova vita, densa di lussuria, un mondo dei sensi che lentamente s’impadronisce della vittima predestinata.

I punti fermi della sua educazione (rettitudine, religiosità e razionalità) vengono stravolti da nuove forze, sconosciute ma più potenti della sua convinzione perché non teoriche, ma palpabili, immediate, concrete: l’irrazionalità, l’occulto e la magia nera.
Ne consegue che la crisi spirituale aumenta in misura direttamente proporzionale al montare dei suoi nuovi desideri. Sarà proprio la sua insaziabile sete di nuovi, scabrosi obiettivi che lo porterà alla conoscenza e all’uso di nuovi strumenti a lui concessi dalla magia nera, ed egli non esiterà a farne uso anche se l’operato compiuto per loro tramite lo porterà allo stupro e all’assassinio.

La crisi spirituale è definitiva e irrisolvibile: l’Ambrosio-Monaco è finito; l’uomo che ora l’autore ci presenta è del tutto svuotato da ogni virtù, da ogni speranza. Naturalmente è l’anti-monaco a uscirne vittorioso: la sua – e quindi di Satana – è una vittoria totale; oltre al corpo di Ambrosio, conquistato con facilità grazie alle beltà più o meno nascoste di Matilda, e oltre alla coscienza, dominata con un paziente lavoro disgregativo, il Principe delle Tenebre riesce a farsi consegnare dallo stesso Ambrosio la sua anima. Con questo patto, il monaco suggella definitivamente la propria condanna e la propria perdizione eterna: ora il perdono di Dio gli sarà negato.

La chiusura del romanzo è affidata a un metaforico volo verso l’alto di Ambrosio che fugge dal carcere mentre – ironia – i carcerieri gli stanno portando la grazia; ma questo volo iperbolico è destinato a tramutarsi subito dopo in un precipitare vorticoso sulla Sierra Morena dove, dopo alcuni giorni di tremenda agonia, anche il corpo trova la sua fine. Allo stesso modo lo spirito di Ambrosio è sempre asceso verso la santità per poi precipitare vertiginosamente nel baratro della perdizione dove, dopo molte agonie morali, giunge la morte spirituale.

Il monaco, fino a circa metà del romanzo, può apparire come “l’eroe”, solo per rivelarsi subito dopo, in un rovesciamento attuato attraverso i sensi, un comunissimo mortale, oltretutto tra i peggiori che esistano: al godimento di una molto probabile Vita Eterna – elemento di là da venire, impalpabile, astratto, denso di sacrifici e privazioni – egli preferisce il godimento immediato dei piaceri terreni, più concreti, tangibili e facili da raggiungere. E saranno proprio questi piaceri, o presunti tali, a trascinarlo verso sofferenze sempre più atroci e irreversibili, sia materiali, sia spirituali.

Inquadramento letterario

Robert Scholes e Robert Kellog, in La natura della narrativa (pubblicato da Il Mulino nel 1970), sdoppiano l’insieme della narrativa, identificando con rappresentazione quel genere che cerca di riprodurre un duplicato della realtà, e con illustrazione il genere che si propone soltanto di riprodurre un aspetto della realtà. A completamento di questa teoria, Clara Reeve, nel suo Progress of Romance (1785), identifica in the novel ciò che descrive come un quadro della vita e dei costumi reali del tempo in cui viene scritto e in the romance ciò che con linguaggio nobile ed elevato descrive ciò che non accade e che probabilmente non accadrà mai.
Per un lettore italiano la differenza tra questi due generi letterari è forse difficile da comprendere, perché per noi il romanzo è la prosa di una certa lunghezza che racconta una storia, ma per chi conosce l’inglese la differenza è chiara, e scegliere di scrivere un romance piuttosto che un novel significa scegliere una distanza, maggiore o minore, da ciò che probabilmente può accadere nella realtà.

Si deve comunque aggiungere quanto esposto da Austin Warren e René Wellek nel trattato Teoria della letteratura (pubblicato da Il Mulino nel 1956): the novel si sviluppa da forme non fittizie della letteratura, prendendo pertanto vita da lettere, diari, memorie, biografie, cronache ed esaltando il dettaglio rappresentativo; the romance, invece, è continuatore dell’epica e del romanzo medioevale: può trascurare la verosimiglianza dei particolari per raggiungere una più elevata realtà e una più profonda analisi psicologica.

Nel prendere in considerazione queste grandi classificazioni, si riesce a dare una prima collocazione a Il Monaco tra i testi di Illustrazione, perché suggerisce un aspetto della realtà, e tra i Romance, perché descrive ciò che non accade. Tuttavia, si rende necessario fare una precisazione: Tommaso Kemeny, in Testi di illustrazione e rappresentanza dell’800 inglese (1978), afferma che i testi di Illustrazione, più che suggerire limitatamente un aspetto della realtà, trasformano la visione dell’oggetto perduto del desiderio in modo tale da renderlo irriconoscibile al lettore, ma non al metalinguaggio del critico. Inoltre fa una puntualizzazione circa il linguaggio nobile ed elevato dei Romance, affermando che tale tesi può essere corretta se usata per il romanzo epico dal quale i testi dell’Illustrazione derivano. Questi ultimi, infatti, stravolgono completamente il loro originario registro stilistico, precipitando negli abissi del mostruoso, dell’orrido e dello strano.

In Introduction à la literature fantastique (1970), Tzvetan Todorov, filosofo e saggista bulgaro, definisce la parte più significativa dei testi di Illustrazione come Letteratura fantastica, variante, appunto, del testo di Illustrazione.

A livello di classificazione dei testi, come variazione del testo fantastico, s’inserisce il romanzo gotico inglese in quanto, a ragione, è rappresentato da una serie di scritti sul soprannaturale, sullo spaventoso, con azione ambientata nell’orrido. Anche il romanzo gotico si sottopone a sua volta a una diversificazione binaria: da una parte il soprannaturale, spiegato, razionalizzato; dall’altra, il soprannaturale accettato senza spiegazioni di alcun genere.

Prima condizione del fantastico è l’esitazione, e di tale esitazione Il Monaco è pieno: il lettore “esita” di continuo tra una spiegazione logica e naturale degli avvenimenti, delineando così il sottile confine tra possibile e impossibile. Il fantastico si presenta concretamente come presente, come limite tra un passato noto e un futuro ignoto.

Se il fantastico viene razionalizzato, se viene ricondotto al reale noto, siamo nella classe detta “dei testi dello strano”; se, invece, il fantastico sconfina nel sapere dell’ignoto – come nel Monaco – e si accetta l’impossibile, siamo nel meraviglioso, dove la follia assurge a ragione superiore.

In conclusione, quindi, Il Monaco appartiene al genere del romanzo di Illustrazione, come sottogenere al fantastico, e come classificazione ai testi del meraviglioso in cui l’impossibile è accettato, in cui, superato l’ordine reale (il mondo della struttura) e l’ordine simbolico (il mondo dei sogni), s’irrompe nell’immaginario.

Comunque, Il Monaco viene indicato come testo significativo del romanzo gotico, appartenente quindi a quella classe di testi nei quali terrore e mistero risultano elemento base del racconto.

Terrore e mistero hanno sempre esercitato un enorme fascino sui lettori, già dai tempi dei drammi ellenistici. È però nell’ultima parte del Settecento che tale gusto si rafforza, affermandosi definitivamente: sono appunto di questo periodo i Tales of terror – come, per esempio, Il Castello di Otranto di Horace Walpole o I misteri di Udolfo di Ann Radcliffe – e i romanzi del Marchese de Sade.

Il Settecento, quindi, non è l’epoca della scoperta dell’orrido, ma il secolo in cui l’idea giunge alla sua piena consapevolezza; la novità piuttosto è da ricercarsi nel continuo, insistente, costante legame tra terrifico, dolore e voluttà: il dolore provocato da situazioni terrificanti è concepito come parte integrante della voluttà; anzi, quest’ultima risulta proprio essere figlia della crudeltà.

La tematica del romanzo gotico è di per sé abbastanza semplice e, comunque, comune a più o meno tutta la narrativa di questo genere; il pretesto base, quando esiste, è dato dal ritrovamento “casuale” di un antico manoscritto nel quale è narrata la vicenda; il luogo è sempre rappresentato da un sinistro castello o da un convento con segrete, cunicoli, sotterranei; c’è sempre un misterioso delitto connesso sovente a un amore illecito, contrastato o incestuoso, quasi sempre perpetrato da un ecclesiastico; il malvagio, in genere spagnolo o italiano, vende sempre la sua anima al diavolo, dal quale viene poi raggirato; maghi, streghe, fantasmi hanno sempre una loro ordinata collocazione. Tutto questo, ovviamente, ripetuto in modo quasi meccanico, tanto da dare origine, in seguito, alle scontate parodie sul tema.

È innegabile, comunque, il fatto che ancora ai giorni nostri questi cliché terrificanti abbiano una buona presa sul pubblico: segno, questo, che tali meccanismi sono già, e sempre saranno, propri della mente dell’uomo.

Fonti d’ispirazione

Il Monaco è un romanzo che racchiude in sé, per merito conscio o inconscio di Matthew Gregory Lewis, molte tendenze e idee, molti gesti e spunti tipici del Settecento. Durante la lettura del romanzo, infatti, s’incontrano diversi motivi preesistenti, magari solo in embrione, nella produzione letteraria europea, che vengono qui ‘recuperati’.

Oltre alle ispirazioni certe, fornite direttamente dall’autore nella prefazione al romanzo – come, per esempio, la storia del santone Barsisa – o ricavabili dalla sua biografia o dalle lettere che inviava da L’Aja a sua madre – nelle quali emergono l’enorme interesse per la produzione letteraria e teatrale del tempo e amicizie importanti, quali quelle con Goethe, Shelley e Byron – nel Monaco si trova un amalgama di tutto ciò che colpì l’immaginazione o catturò l’attenzione del giovane Lewis, magari leggendo un libro dell’epoca o assistendo a una rappresentazione teatrale. Si possono indicare testi quali Intrigues monastiques, ou l’amour encapuçonné di Jean Van den Bergh, del 1739, pubblicato a L’Aja, dove si narra di un confessore che uccide la giovane da lui sedotta; oppure Les victimes clôitres, un dramma di Mouvel del 1791 nel quale un prete malvagio fa rinchiudere in convento una giovane che vuole fare sua; oppure ancora Camille, ou le souterrain di Morsollier (1750), in cui una giovane viene rinchiusa in una segreta con il suo bambino e liberata solo quando i due stanno per morire di fame (nel Monaco anche Agnese, incinta, viene richiusa nel sotterraneo e abbandonata).

La fanciulla sedotta, resa madre e abbandonata a se stessa – tema antico e tanto caro allo Sturm und Drang del primo romanticismo tedesco – è una dominante ripresa e rinfrescata da Samuel Richardson nel 1747 con la sua Miss Clarissa Harlowe del romanzo Clarissa. A distanza di pochi anni l’uno dall’altro, nascono in Germania Emilia Gallotti di Gotthold Ephraim Lessing (1772), in Francia Justine di D.A.F. de Sade (1791) e, in Inghilterra, Antonia e Agnese dl Monaco di Matthew Lewis; tutte queste disgraziate figlie di Clarissa subivano ogni sorta di oltraggio, morivano o rischiavano di farlo in orribili carceri, tra nauseabondi orrori cimiteriali. E sembra che Lewis si compiacesse nell’evocare tali nefandezze: d’altra parte, per scagionarsi da ogni accusa, avrebbe potuto citare nientemeno che William Shakespeare e il suo Romeo e Giulietta (atto IV, scena I-76) dove si parla di serpi, ossari, crani, stinchi putridi e altro ancora.

Da sottolineare, infine, l’intuizione di Mario Praz nel suo Il patto col serpente (Mondadori, 1972) circa l’orribile fine che Satana riserva ad Ambrosio. Praz accosta l’azione del monaco che precipita sulla Sierra Morena e la sua agonia con l’episodio dantesco della morte di Buonconte. Quest’ultima fonte, comunque, così come altre meno evidenti, fa parte di quei plagiarismi dei quali Lewis non era a conoscenza, come egli stesso afferma nell’advertisment al suo romanzo.

Antonin Artaud, nel 1930, decide di farne rivivere la grandezza. La sua non è una traduzione o un adattamento ma, come dice Artaud stesso, “una specie di copia in francese del testo originale”. Egli usa il testo di Lewis come materiale grezzo, modellandolo in profondità per rendere il ritmo più incalzante, l’intreccio più intricato, come il dedalo di gallerie sotterranee teatro di alcune delle scene più cruente del romanzo.
La versione di Artaud è disponibile in italiano, pubblicata da Feltrinelli.

Il Monaco al cinema

Nel 1972 Adonis Kyrou gira un film tratto da questo romanzo con la sceneggiatura di Luis Buñuel e Jean-Claude Carrière. Interpreti Franco Nero, nei panni di Ambrosio, e Nathalie Delon, nei panni di Matilda.

Nel 1996 Joe D’Amato ne realizza una versione esplicitamente erotica.

Nel 2011 la regia di un nuovo adattamento cinematografico viene affidata a Dominique Moll. Il film, presentato al London Film Festival, vede Vincent Cassel nei panni di Ambrosio e Déborah François in quelli di Matilda. La badessa è interpretata da Geraldine Chaplin.


Articolo pubblicato per gentile concessione di Sognaparole Magazine.

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