Charles Dickens – Le due città

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“Leggete Dickens, egli è il maestro di tutti noi”

Posso definirmi un figlio di Cartesio: in me vige costantemente il dubbio. Dubito che le competenze di una persona siano quelle riportate sul curriculum, dubito dell’infallibilità del Papa, dubito che la democrazia sia un bene per l’umanità e una volta, devo ammetterlo con un po’ di vergogna, ho dubitato della teoria della gravitazione di Newton. Ma su Charles Dickens di dubbi non ne ho: era un genio.
Il matematico Simon de Laplace, parlando del più prolifico matematico della storia, disse: “Leggete Eulero, egli è il maestro di tutti noi”. E se Eulero è una tappa che non può essere saltata  da un matematico, poiché è presente in ogni ramo nella scienza, allo stesso modo Dickens non può essere tralasciato da chi voglia avvicinarsi al mondo della lettura e, soprattutto, a quello della scrittura.

Le due città è il romanzo di Dickens meno noto in Italia, nonostante sia, con oltre duecento milioni di copie vendute, il romanzo più letto nel mondo. Diciamolo subito: non è un romanzo storico; il tempo è quello della rivoluzione francese, e tutta la vicenda, che si svolge tra Londra a Parigi, nasce dai tumulti rivoluzionari, ma nella narrazione tutto questo rimane sullo sfondo. I personaggi sono i veri protagonisti, non la Storia in sé. A Dickens non interessa raccogliere intere biblioteche sui più minuscoli eventi all’interno della rivoluzione per poi catalogarli e incastrarli a dovere all’interno del racconto: lui, ed è questo a mio avviso a renderlo così grande, vive dei propri personaggi. E i personaggi dI Le due città, come tutti quelli di Dickens, sono sempre coerenti con se stessi e magnificamente caratterizzati grazie alle loro azioni e alle loro parole: è come se l’autore stesse semplicemente raccontando ciò che vede davanti a sé.
Personaggio chiave è Charles Darnay, un aristocratico francese espatriato in Inghilterra. Dovrà tornare a Parigi durante la rivoluzione per salvare un servitore che gli è sempre stato fedele. Catturato dai rivoluzionari, in un primo tempo viene liberato dal suocero, uomo ormai anziano, per anni imprigionato e ora simbooi della rivoluzione ma, con un incredibile colpo di scena (uno dei tanti del romanzo), una nuova accusa, creata proprio dal suocero quando ancora i due non si conoscevano, lo porta a essere nuovamente imprigionato e condannato a morte. Ma non finisce qui…
Un ristretto numero di altri personaggi riempie questo affresco e rende il libro appassionante e, in certi punti, angosciante per l’efficacia con cui viene reso il periodo del Terrore che seguì la presa della Bastiglia.

Non si può, infine, non cogliere un’analogia con la contemporaneità. Nel finale, infatti, leggiamo: Vedo […] lunghe file dei nuovi oppressori sorti dopo la distruzione dei vecchi; o forse non è attuale per niente, poiché sempre ci sono stati oppressori e sempre ce ne saranno; e il tempo, in una Storia che si ripete sempre uguale a se stessa, perde di significato.

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Stefano Ghisleri nasce a Brescia nel 1985. Fin da ragazzino manifesta un grande interesse per la musica che lo porterà a diplomarsi in pianoforte nel 2009 sotto la guida del M° A. Ranucci. Parallelalemente agli studi musicali consegue la laurea magistrale in Ingegneria dell'Automazione Industriale presso l'Università di Brescia. Docente di pianoforte, è da tempo interessato anche alla composizione e alla scrittura. Di recente ha presentato con successo una sua composizione per pianoforte ispirata ai quadri di August Strindberg a Stoccolma.

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