Émile Zola – Lo scannatoio (L’assommoir)

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Il nostro futuro è il nostro passato

Assommoir: ammazzatoio, scannatoio. Così viene soprannominata l’osteria di papà Colombe. E vediamo bene di che tipo di scannatoio si tratti, a che cosa conduce l’alcolismo. Anzi, lo viviamo, perché Zola ci avvicina talmente ai personaggi da farci abitare la loro esperienza in prima persona. Sembra di aver vissuto accanto a loro. O, se manteniamo qualche distanza, di essere i loro vicini di casa. Di conoscerli perfettamente.
Ma l’ammazzatoio di papà Colombe non è che uno dei gironi infernali in cui i poveri, gli operai, i diseredati si ostinano ad aggirarsi nel tentativo di autodissolversi, di trovare una pace impossibile. Falciati dall’ingiustizia, dall’egoismo, dalla maldicenza, sono trascinati nell’alcol da ben altro scannatoio: quella disparità sociale che, ancora oggi, ci discrimina e ci avvilisce. Tutti noi viviamo in uno scannatoio, nel quale la caduta di un vicino è una conquista, almeno per la gioia maligna dell’aver assistito alla sua rovina. Mors tua, vita mea.
Non c’è coesione sociale, nel romanzo di Zola, perché quella coesione è solo apparenza, un sostrato che maschera, appunto, l’egoismo, l’individualismo, l’ipocrisia, l’opportunismo, la piccineria, la grettezza, la stolidità, il pettegolezzo (anche il più becero), la sordida malignità, l’invidia, il rancore.

Ritratto popolare acuto e spietato, L’Assommoir narra l’ascesa e la caduta della lavandaia Gervaise, con il contributo fondamentale dato dai suoi uomini (Lantier e Coupeau) e da sua figlia (Nanà, protagonista di un altro romanzo dell’autore, figura femminile ripresa e ampliata, fra gli altri, da Cain nel suo romanzo Mildred), nonché dagli odiosi cognati Lorilleux; e ci mostra la depressione (ma allora si chiamava mal di vivere) in cui la protagonista viene sprofondata e si lascia sprofondare.
Attraverso il destino di Gervaise, Zola ci narra quello di un popolo costretto a sopravvivere in un inferno terreno talmente spaventoso da rendere preferibile l’annichilimento e la morte. E affida al più opportunista e disonesto dei personaggi i proclami sulla lotta di classe: proclami dichiarati e mai messi in atto.

Un capolavoro, se mai ve n’è stato uno, che illumina le piaghe di una società ripiegata su se stessa, sotto il tallone dell’oppressione sociale. Una straordinaria esperienza che ognuno di noi dovrebbe fare. Per uscirne vivificato, sì, ma anche tramortito. Perché tutto doveva cambiare affinché nulla cambiasse. E ce ne accorgiamo scrutando il nostro misero presente attraverso la lente d’ingrandimento del nostro passato.

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Heiko H. Caimi, classe 1968, è scrittore, sceneggiatore, poeta e docente di scrittura narrativa. Ha collaborato come autore con gli editori Mondadori, Tranchida, Abrigliasciolta e altri. Ha insegnato presso la libreria Egea dell’Università Bocconi di Milano e diverse altre scuole, biblioteche e associazioni in Italia e in Svizzera. Dal 2013 è direttore editoriale della rivista di letterature Inkroci. È tra i fondatori e gli organizzatori della rassegna letteraria itinerante Libri in Movimento. ha collaborato con il notiziario "InPrimis" tenendo la rubrica "Pagine in un minuto" e con il blog della scrittrice Barbara Garlaschelli "Sdiario". Ha pubblicato il romanzo "I predestinati" (Prospero, 2019) e ha curato le antologie di racconti "Oltre il confine. Storie di migrazione" (Prospero, 2019), "Anch'io. Storie di donne al limite" (Prospero, 2021) e "Ci sedemmo dalla parte del torto" (Prospero, 2022, insieme a Viviana E. Gabrini). Svariati suoi racconti sono presenti in antologie, riviste e nel web.

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