Domenico Starnone – Lacci

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Quali sono i legami che regolano i rapporti di coppia e di famiglia? Quale memoria resta di un matrimonio sopravvissuto alla rottura? Quante e quali sono le trame che sottendono il flusso esistenziale della vita di coppia?
È a queste domande, e a molte altre, che Domenico Starnone ci consegna attraverso la narrazione di Lacci. E lo fa incastrandoci in un romanzo che non è solamente un resoconto della crisi di coppia, ma soprattutto lo specchio di come, dentro l’istituzione matrimoniale, spesso, si costruiscano i presupposti per la propria incompiutezza personale.

La vicenda è raccontata in tre testi, in una forma che da tre punti di vista, e in tre momenti storici differenti, utilizza il presente come tempo privilegiato di un raccontare in medias res.
La rivendicazione di una moglie, una donna senza nome e dal tono sarcastico, apre il primo. Si tratta di un carteggio a senso unico: non c’è contraddittorio e Vanda, come scopriremo, è il prototipo della donna tradita e poi lasciata a favore di una donna più giovane.

Nel secondo a parlare è Aldo, il marito. Sono passati quasi quarant’anni e, da epistolare, il romanzo si trasforma nella rappresentazione di un lungo matrimonio, sopravvissuto imparando a dimenticare e a sopportare. La vicenda, a causa di un furto nel loro appartamento e della sparizione di Labes, il gatto di famiglia, pone il lettore di fronte ai ricordi di una vita, sparpagliati sul pavimento della casa. La preoccupazione maggiore di Aldo è che, dal caos, possa riemergere qualche traccia della sua antica storia d’amore, e che la moglie possa ritrovarla prima di lui. Rintraccia le lettere rivelate già nella prima parte; parole che, attraverso il controcampo, andranno reinterpretate in un’ottica differente. Compaiono ora in scena anche i due figli della coppia, filtrati dai ricordi di Aldo e dalle parole di Vanda.

Ed è proprio ai figli che il terzo racconto darà parola, in particolare ad Anna, che renderà dal loro punto di vista la vicenda, spiegando anche il titolo del romanzo. Infatti i lacci, oltre che collegati a un episodio specifico, sono riferiti agli eredi, impiegati a fare da collante a un legame matrimoniale e familiare che garantisca una certa tranquillità domestica. Figli che spesso pagano il prezzo più alto, quando sono chiamati con la loro semplice esistenza a mitigare le frustrazioni genitoriali; e la loro incapacità di essere adulti li pone di fronte al loro imperfetto destino.

Un libro ironico e graffiante che, attraverso un intreccio singolare e la sconnessione fra piani temporali e piani narrativi, porta a riflessioni  acute e illuminanti, pur divertendo parecchio. E sorge più di un sospetto che, a tenere insieme le coppie, a volte sia qualcosa di malvagio, di guasto, perfino di sadico: qualcosa di imperdonabile che non si estingue e ci accompagna fino all’eternità.

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Giorgio Olivari nasce a Brescia nel secolo scorso. È professionista nel campo del disegno industriale da più di trent’anni. Dopo i primi quarant’anni da lettore scopre la scrittura per caso: uno scherzo della vita. La compagna di sempre lo iscrive a un corso di scrittura creativa: forse per gioco, più probabilmente per liberarsi di lui. Una scintilla che, una volta scoccata, non si spegne ma diventa racconto, storie, pensieri; alcuni dei quali pubblicati dai tipi di BESA in "Pretesti Sensibili" (2008). La prima raccolta di racconti brevi, "Futili Emotivi", è pubblicata da Carta & Penna Editore nel 2010. La sua passione per la letteratura lo ha portato a “contagiare” altri lettori coordinando gruppi di lettura: Arcobaleno a Paderno Franciacorta, Chiare Lettere a Nave.

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