Aoibheann McCann – Marina

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Marina è la storia di una bambina nata e cresciuta nella profonda campagna irlandese da genitori facoltosi ma poco attenti, che verranno presto a mancare. Ha due sorelle maggiori di molti anni, che non sembrano volerla includere nelle loro vite.
Marina entra nel mondo vivendo un trauma: quello della separazione da un mondo – appunto – sottomarino, amniotico, pieno di pace e serenità: troverà prima in un animale da compagnia e poi nel piccolo quasi-cugino Jamie un sollievo alla suo insolita natura di non-adatta. Di lei si prende cura Mona, sua insegnante di pianoforte, che vede in lei un talento raro, nonostante le difficoltà di comunicazione. Mona e la sua famiglia somiglieranno sempre di più alla famiglia che a Marina manca, o meglio: che non sente sua. Il pianoforte diventerà la strada maestra per allontanarsi da luoghi e situazioni che si fanno sempre più angusti e, nonostante il dolore della separazione da Jamie, Marina si trasferisce a Londra per studiare musica. Al College incontra Jules, un violinista appassionato, ecologista sopra le righe, squatter ribelle, i suoi amici e sua madre. Ma la relazione con Jules, e con sua madre, non porterà del bene. Inizia – anzi prosegue – una discesa verso la consapevolezza di ‘non essere adatta’, di ‘essere la colpevole’.

Marina è il nome della protagonista, la sua identità, ma anche il segno che ne identifica l’origine profonda, gli abissi della pre-nascita.
Il personaggio più intenso è Jamie, figlio dell’insegnante di pianoforte di Marina, un bambino che segue la scura natura oceanica della protagonista; l’unico simile in un mondo di ombre. Più tardi ci sarà Jules, il fidanzato, che costituirà l’altro cardine degli eventi.
Altro personaggio, semitrasparente ma necessario, è il dottor O’Hara: la figura che ci permette di seguire la narrazione, perché è lo psichiatra che ha in cura, dopo un evento di assoluta tragicità, la protagonista del romanzo, la quale narra al medico, a se stessa e a noi gli eventi che l’hanno condotta fino a quell’approdo.

Marina è una narrazione di reiterati tradimenti: la nascita stessa lo è, e l’autrice ne narra lo strazio. La morte dei genitori non lo è di per sé, ma innesca l’idea che siano stati loro ad essere stati traditi, attraverso la mancanza del lutto. Jamie è stato tradito, Jules sospetta continuamente un tradimento, e forse lo perpetra.
In tutto il romanzo c’è un delirio – a volte leggero, a volte più forte – che assume l’aspetto del fervore religioso, piuttosto che del desiderio omicida; è un senso di colpa soverchiante a innescarlo ogni volta, sia a priori che a posteriori. Questo delirio è accompagnato dal desiderio totalizzante del salvataggio: essere salvati, salvare il mare che muore soffocato dall’inquinamento, salvare la natura, ma soprattutto salvare se stessa.

In Marina l’idea della morte è costante. La nascita stessa è morte al regno perfetto, marino, prenatale. Il tradimento, che ricorre in molte sfumature e da parte di agenti diversi, è morte della fiducia e della semplicità dell’esistenza (dove per essere felici è sufficiente “essere”, “stare”). La liberazione dall’infelicità passa attraverso una violenza non praticata ma vissuta nel senso di colpa, che in qualche modo è una giusta espiazione.
Dopo gli avvenimenti intensi di una vita giovane e promettente, Marina cerca di tornare, di tornare sempre a qualcosa. Alla sua Irlanda, alla sua storia, a Jamie, a Jules. Un modo estremo di farlo, nel caso di Jules, è ridiscendere nel delirio: questa volta l’ossessione del petrolio e dei danni enormi che l’inquinamento delle acque porta all’ambiente, ma senza Jules.
Alla fine Marina, alla ricerca di un ricongiungimento, di un ritorno alla pace delle profondità originarie degli oceani, fa una scelta, finalmente consapevole, di impatto devastante. Deve salvare se stessa e i suoi simili, ma principalmente le due persone cui tiene di più.

Primo romanzo della bravissima scrittrice irlandese Aoibheann McCann, Marina è un romanzo sulla salvezza che ha come sfondo una grigia e vaga Londra, identificata da luoghi anonimi e tristi, e un’Irlanda priva di gioia e di radici.
Il prologo e l’epilogo di questo straziante, amorevole e attentissimo romanzo chiudono un cerchio di eventi che si svolgono in poco più di vent’anni, delineando una breve e intensa realtà molto personale e di rara potenza espressiva.

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Silvia Accorrà è poeta, narratrice, fotografa. Ha pubblicato tre sillogi di poesia, "Mezzoforte" (Cultura Duemila, 1991), "Pesce di terra" (Lietocolle, 1995), "Città non nostre" (Libreria Croce, 2007) e due raccolte di racconti, "Rosso nucleare" (Atì 2008) ed "Entropie" (Calibano, 2023). Ha pubblicato una trilogia di romanzi di ambientazione giapponese, "Tokyo Love" (Damiani, 2014), "Hikari" (Prospero, 2017) e "Pareti sottili" (Prospero, 2019). Ha inoltre partecipato ad alcune antologie poetiche e narrative. Ha avuto una personale di fotografia nel 2006, una nel 2010 e una nel 2018. Lavora principalmente come traduttrice, ma anche come insegnante di lingua. Vive a Milano dalla nascita (1969), ma il suo cuore è altrove.

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