Stephen King – Joyland

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Deluso dalla fine della sua prima storia d’amore, Devin, uno studente universitario, accetta un lavoro stagionale in un parco divertimenti di provincia, nel quale pare dimori uno spettro.

Un King insolito, che mette da parte le atmosfere da brivido e le tensioni dei romanzi più noti per raccontare, con delicatezza, la storia di un giovane che diventa uomo attraverso i consueti passaggi tra dolori e gioie tipici della fine dell’adolescenza; nel narrare la storia di Devin e della sua prima, bruciante delusione sentimentale, King evoca anche il ritratto di un’America semplice, nella quale il parco dei divertimenti era la meta sognata per un intero anno da ragazzini che si accontentavano di un cappello buffo e di un hot dog, e nella quale è ancora molto forte il senso di solidarietà umana: il vero orrore, quello che comunque non manca di affacciarsi, è rappresentato dal disprezzo, niente affatto sovrannaturale, per la vita altrui e per le altrui speranze.

Poetico, intimista e malinconico, non è facilmente inquadrabile rispetto al resto della produzione dell’autore statunitense, né si segnala per originalità, ma si rivela una bella sorpresa per la sua capacità di affascinare e di coinvolgere.

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