Ogni tanto fa bene al cuore rivedere il neorealismo rosa, certe pellicole anni Cinquanta nelle quali tutto finisce sempre nel modo migliore, i ricchi sposano le figlie dei poveri spiantati e i rispettivi genitori cucinano spaghetti insieme nelle case popolari. Filosofia buonista della vita lontana mille miglia dalla realtà ma che apre le porte a un mondo di solidarietà che (almeno in Italia) è scomparso.
I due compari ha il pregio di essere una commedia scritta dalla felice penna di Aldo Fabrizi e di mostrare all’opera una coppia di interpreti straordinaria, come lo stesso Fabrizi e Peppino De Filippo, insieme a un ottimo Carlo Ninchi nei panni di un ricco industriale. Commedia pura, racconta la vita quotidiana degli anni Cinquanta: l’arte di arrangiarsi, l’amore filiale e paterno, l’amicizia, il tutto permeato da una vis comica notevole e recitato da attori brillanti come da troppi anni non vediamo nascere a queste latitudini, almeno non di questa levatura.
Un film che compie settant’anni ma non li dimostra, perché se togliamo la retorica sentimentale tipica degli anni Cinquanta (va storicizzata) e un lieto fine forzato, tutto è ancora godibile e i siparietti comici restano straordinari. Peppino De Filippo e Aldo Fabrizi non hanno lavorato molto insieme (sono più numerosi i film che vedono Totò e Peppino, oppure Fabrizi e Totò, in certi casi i tre attori si dividono la ribalta), ma qui dimostrano grande affiatamento, con un rispetto certosino dei tempi comici.
Il personaggio di Peppino è un’anticipazione di quello che interpreterà Franco Franchi nelle farse anni Settanta: un uomo spinto nelle sue azioni da una fame atavica, quasi primordiale. Aldo Fabrizi recita un personaggio più complesso: in alcune scene mostra anche una certa vena drammatica e si esibisce come venditore ambulante spinto dalla necessità di mantenere la figlia in un collegio di ricchi. Non c’è lotta di classe: ci sono solo due ragazzi innamorati, oltre al fatto che l’amore tutto può ottenere, persino la scalata sociale, a patto che il padre sappia giocare a scopone, il passatempo delle classi agiate.
Sceneggiatura – di Fabrizi (il soggetto è suo) con la collaborazione di Amendola e Maccari – che non perde un colpo, briosa e piena di ritmo; montaggio rapido in 90 minuti essenziali (Benedetti); fotografia in un lucido bianco e nero (Giordani), colonna sonora sinfonica di Rustichelli; scenografia del grande Mogherini. Regia ordinaria del piemontese Borghesio (1905-1983), autore dei migliori film interpretati da Erminio Macario, spesso anche sceneggiatore (non in questo caso), alle prese con la sua ultima opera.
Una pellicola che resiste al passare del tempo. Un modo per conoscere l’Italia degli anni Cinquanta, le abitudini del popolo, le difficoltà di vivere a dieci anni dalla fine del secondo conflitto mondiale.
Merita una riscoperta e un approfondimento critico contemporaneo.





















