Grindhouse è un progetto cinematografico che omaggia lo slasher e certe pellicole anni Settanta, tra l’altro citate nel corso del film – lavori come Punto Zero e Convoy. Autori per regia e sceneggiatura Quentin Tarantino e Robert Rodriguez: il primo dirige A prova di morte, mentre il secondo realizza Planet Terror. Il film integrale, diviso in due episodi e della durata di oltre tre ore, si è visto solo negli Stati Uniti e in Canada, mentre nel resto del mondo è stato diviso in due pellicole distinte. Tutto richiama il cinema dei drive–in, le sale con i doppi spettacoli di periferia, l’exploitation a basso costo, anche italiana (Joe D’Amato), degli anni Settanta.
Uno spettatore attento coglierà citazioni a non finire di quel che Tarantino ama: vedrà locandine cinematografiche, titoli di film, persino spezzoni di pellicole di Rob Zombie, Eli Roth, Edgar Wright, Jason Eisener e Robert Rodriguez (nella versione USA).
A prova di morte è la seconda parte del progetto Grindhouse, caratterizzato da molti eccessi e da una fotografia sporca, una pellicola che sembra graffiata e anticata, per citare come si girava negli anni Settanta. Vede protagonista un serial killer psicopatico di professione stunt–man (Kurt Russell) che uccide le donne nel corso di spettacolari incidenti automobilistici, in un tripudio di frattaglie e membra divelte che schizzano fuori da auto in corsa.
Il punto forte della pellicola sono i concitati inseguimenti, girati alla perfezione, che ricordano il poliziesco del passato, anche italiano (Umberto Lenzi). Notevole la parte finale con la rivalsa del gruppo di donne nei confronti del killer, una soluzione di sceneggiatura molto femminista composta da una vendetta in piena regola a base di eccessi, in puro stile tarantiniano.
Tutto il film è molto parlato, costruito su dialoghi che fanno continui riferimenti alla cultura pop e a quel cinema di genere che il regista ama, come tutta la costruzione narrativa è un sentito omaggio alle pellicole d’azione più classiche. Inconfondibile lo stile di Tarantino: anche se non può essere definito il suo miglior film, la tecnica di regia resta sopraffina. Il regista interpreta anche un piccolo ruolo nei panni del padrone di un bar dove il killer si ferma a bere e a rimorchiare le prime vittime. Tarantino fa pure il direttore della fotografia per incidere a dovere sullo stile antiquato, alternando passaggi in bianco e nero in una pellicola che pare graffiata e consumata. Inutile dire che soggetto e sceneggiatura sono del regista: per capirlo basta ascoltare un paio di dialoghi e vedere le prime scene di azione. Il montaggio di Sally Menke è sincopato nelle scene acrobatiche, molto rilassato durante i dialoghi, verbosi e surreali, in una parola alla Tarantino.
Nella versione italiana mancano tutti i finti trailer pensati da Tarantino e Rodriguez per intervallare il film e citare lo stile grindhouse; da notare che Machete e il suo sequel (Machete Kill) vengono fuori proprio da questo progetto e sono una diretta conseguenza dell’idea originale.
Colonna sonora in tema con la pellicola, a base di classici rock anni Sessanta e Settanta (Jeepster, Staggolee, Down in Mexico, Good Love Bad Love); troviamo persino un brano di Ennio Morricone (Paranoia prima) e alcune musiche che ricordano il poliziottesco italiano con le colonne sonore di Franco Micalizzi.
A prova di morte non è molto riuscito nei dialoghi e non può essere considerato tra le migliori prove di Tarantino, ma vale il prezzo del biglietto per la mezz’ora finale a base di inseguimenti spettacolari in cui la stunt-girl Zoё Bell dà filo da torcere a Kurt Russell e completa la sua vendetta al femminile.
Puro cinema di exploitation. Da vedere.





















