Proseguendo il viaggio nel mondo della musica punk britannica, dopo aver parlato di Clash e di Morrissey mi è sembrato giusto fare un passo indietro e parlare del gruppo da cui quest’ultimo proviene, e in particolar modo del terzo album degli Smiths, che è stato inserito dalla prestigiosa rivista Rolling Stone tra i 500 migliori album di sempre: The Queen Is Dead.
Il disco uscì nel 1986, ma Johnny Marr, il chitarrista della band, aveva iniziato il lavoro di scrittura mentre la band era in tour in Gran Bretagna, portando in giro il loro precedente album Meat is Murder. Marr elaborò alcuni spunti melodici durante i soundcheck prima dei concerti, assieme al bassista Andy Rourke e al batterista Mike Joyce. Il leader Morrissey trovò le nuove melodie molto interessanti e si mise subito al lavoro per i testi. Nel mese di luglio del 1985, in un piccolo studio di Manchester, gli Smiths registrarono The Boy with the Thorn in His Side, che divenne subito il singolo promozionale dell’album.In un’intervista televisiva fu chiesto a Morrissey a cosa stesse lavorando e lui, candidamente com’è nel suo stile, rispose che il nuovo album trattava il tema della dissacrazione delle istituzioni, e, in particolar modo, della famiglia Reale, che definì come la più inutile di tutte.
Infatti ad aprire le danze dell’album troviamo la title track The Queen is dead, titolo preso in prestito dal romanzo di Hubert Selby Last Exit To Brooklyn (1964) basata musicalmente su una canzone che Johnny Marr aveva cominciato a scrivere già da adolescente. Nel testo Morrissey lancia la sua pungente invettiva contro la Regina d’Inghilterra, definita dal cantante “del tutto contro ogni nozione di democrazia, oltre che un mistero per molte persone”.
In Vicar In a Tutu sarà invece la Chiesa ad essere presa di mira, in uno spettacolare compendio musicale che riescheggia David Bowie e i Beatles nelle loro versioni più poetiche. L’amore per Oscar Wilde, invece, è sublimato alle porte di un cimitero (Cemetery Gates), dichiarandolo autore addirittura superiore a John Keats e William Butler Yeats (non senza un altro attacco, stavolta a chi si appropria dei versi altrui). NElal canzone viene declinato un amore spirituale per il poeta omosessuale inglese che ricalca, a sua volta, l’androginia del leader della band e il suo difficile rapporto con l’altro sesso, tanto divulgato sui giornali e schernito da alcuni ‘colleghi’ increduli (“Non ci crede? Se George Michael vivesse la mia vita per cinque minuti, correrebbe ad appendersi al primo pezzo di corda”). Ma l’album non è solo provocazione: anche l’amore e gli affetti trovano spazio, e in particolar modo nella canzone Some Girls Are Bigger Than Others.
Inizialmente, il titolo del disco avrebbe dovuto essere Margaret On The Guillotine, un chiaro riferimento all’allora premier britannico Margaret Thatcher e alle politiche conservatrici del suo governo. La foto di copertina, raffigurante l’attore francese Alain Delon, è stata tratta da una scena del film L’insoumis (Il ribelle di Algeri), noir del 1965.
Un disco da cui attingere citazioni a piene mani, un album spinto al massimo, anche nelle parti più intimiste, forse quasi nella consapevolezza che la carriera volgeva al termine (I Know It’s Over, canta Morrissey, anche se si riferisce ad altro, in quello che per alcuni critici è in assoluto il pezzo migliore degli Smiths). E se mi permetto di indicare questo disco come una pietra miliare, non è di certo perché ho la pretesa di interpretare, a distanza di un ventennio, la Storia, ma solo perché mi piace provare a raccontarla, anche solo per il piacere di ricordare un’epoca nella quale esistevano dischi che vendevano milioni di copie pur conservando un altissimo valore artistico.