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Morrissey – Low in High School

Forse i nomi Smiths, Morrissey, dicono poco o nulla all’ascoltatore odierno, ma significano molto per la storia del rock anni Ottanta.
Recentemente mi sono recato a Londra e, mentre passeggiavo per Notting Hill, non ho potuto fare a a meno di notare un piccolo negozio che vendeva magliette dedicate a tutti i mostri sacri del rock. Incuriosito sono entrato e ho iniziato a girare per il locale cercando qualcosa di interessante da comperare e tornare in Italia con un souvenir musicale comprato a Londra. Ovviamente Beatles e Rolling Stones la facevano da padroni, come anche i più recenti e disciolti Oasis e Blur, gli strabilianti Gorillaz, Chemical Bros, Portisead… Ma, sinceramente, quello che cercavo era una sola cosa: Smiths o Morrissey.

Mi avvicino alla commessa del negozio, domando e le mi guarda come se le avessi chiesto la cosa più assurda che un essere umano possa desiderare. Dopo qualche istante di smarrimento si guarda in giro, mi fissa e candidamente mi dice: “Sorry, never heard”.
Ma come, mai sentiti? Negli anni Ottanta, mentre Duran Duran e Spandau Ballet facevano a gara a chi aveva i capelli più cotonati o il trucco più vistoso, c’era un’altra parte della scena musicale che pulsava di rabbia verso il sistema: sto parlando dei Sex Pistols, dei Clash e, appunto, degli Smiths, con il loro carismatico leader Steven Patrick Morrissey.

Oggi voglio tralasciare il suo passato con gli Smiths (magari ne parlerò in un altro articolo) e parlare di lui, vera icona passata indenne dagli anni Ottanta ad oggi, riscuotendo sempre un grande successo di pubblico; pubblico che si muove in massa appena sbarca in Italia per un suo concerto. Basti pensare che, nel 2007, il Daily Telegraph l’ha inserito nella classifica dei cento geni viventi!

L’ultimo album di Morrissey è uscito nel novembre 2017, e si intitola Low in High School. In questo disco e a questo punto della sua carriera Morrissey decide di uscire con una serie di canzoni dove si nota una certa noncuranza verso i suoi fan più fedeli: lo si evince dalla scelta di non assecondare le continue richieste del pubblico di ritornare musicalmente ai fasti e alla leggiadria degli esordi – al contrario, dopo il divorzio con Alain Whyte la scrittura si è ancor più appesantita e imbolsita, quasi che l’autore voglia trasferire in musica la confusione politica e sociale che, infatti, è il cardine creativo del suo ultimo lavoro.

Rimane un punto fisso la provocazione politica: come dimenticarsi quando, nel suo primo album (Viva Hate, 1988) incise la canzone Margaret On The Guillotine, dove urlava tutto il suo odio nei confronti di Margaret Thatcher, o quando in We’ll Let You Know (dall’album Your Arsenal, 1992) dava del criminale a George Bush? Senza dimenticare The Queen is dead (album e canzone degli Smiths, 1986): già il titolo basta a spiegare tutto.
In Low in High School troviamo canzoni che parlano della candidata anti-islam Anne Marie Waters ed esternazioni positive nei confronti di Marine Le Pen e Nigel. Le note di My Love, I’d Do Anything For You riempiono il vuoto che fa seguito a questi pensieri: tutte le argomentazioni ideologiche si fanno amabilmente accantonare, e l’esuberanza del possente glam-hard- symphonic rock (azzardo un paragone con Meat Loaf) non lascia dubbi: Low In High School è un disco indisponente e ambiguo, nel quale ogni brano offre una doppia chiave di lettura: una piacevole e una disturbante. Inoltre è l’album di Morrissey più ricco di potenziali singoli da classifica, a partire dalla deliziosa Jacky’s Only Happy When She’s Up On The Stage, che si avvale, oltre che di un testo ironico e riuscito, di un assolo di tromba,
Il singolo Spent The Day In Bed, non è solo una delle canzoni più melodicamente affabili degli ultimi anni ma, nel contesto dell’album, suona ancor più incisiva, graziata dalla stessa leggerezza di I Wish You Lonely, brano che anticipa la peculiarità timbrica dell’intero lavoro, quel delizioso suono di tastiere stile Roxy Music che, insieme all’uso più intenso dell’orchestra e dei fiati, è la vera novità di questo progetto.

Che Low In High School sia un disco bifronte lo si evince anche dalla netta separazione tra le due facciate: con il delicato e notturno duetto tra piano e voce di In Your Lap si entra in una dimensione più crepuscolare, quasi notturna, a tratti esotica, con atmosfere che a tratti ricordano alcune cose di Marc Almond dell’era Marc and The Mambas, come il tocco di flamenco di The Girl From Tel-Aviv Who Wouldn’t Kneel.
È proprio da questo tentativo di rigenerazione che nascono alcune interessanti intuizioni liriche, come l’amabile All The Young People Must Fall In Love, una ballata acustica alla Give Peace A Chance che frantuma il tono serioso aprendo le porte all’altra piccola delizia melodica dell’album, il tango di When You Open Your Legs, sottolineato con intelligenza e gusto da orchestra e fiati.
Sicuramente per i fan è il disco più difficile da digerire nella discografia di Steven Patrick, ma è sicuramente più ricco dei precedenti di sinergia tra musica e testi, caratteristica che in opere come Kill Uncle (1991) o nel recente World Peace is None of your business (2014) mancava completamente. Piaccia o non piaccia, questa strisciante deriva reazionaria va osservata con attenzione e senza inutile sarcasmo, e forse Low In High School contiene più di una chiave di lettura del nostro turbolento presente ideologico.

Michele Larotonda: Il suo motto è: “Fai quello che sai fare e rendilo unico”. Michele Larotonda è nato nel 1977. Della sua infanzia ricorda il momento in cui suo padre gli mise in mano una Rollei 35, ed è stato amore a prima vista. Nel 2004 comincia ad affiancare un importante studio fotografico di Varese, nel frattempo si diploma in fotografia presso la John Kaverdash School di Milano e si avvicina alle tecniche del fotoritocco con Photoshop CS4, CS5 e CS6. Organizza corsi di fotografia e digital imaging rivolti a privati ed aziende. Ha esposto in associazioni culturali e locali e alcuni suoi scatti sono stati pubblicati su riviste e quotidiani quali: Living, Inkroci, La Prealpina, Il Quotidiano, Milanosette, Varese io C’ero… E’ il titolare del Kronych Image Studio di Milano e ha fondato il mensile on line KRONYCH IMAGE MAGAZINE
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