Il romanzo Gita al faro (1927) è una delle opere più note di Virginia Woolf, insieme a La signora Dalloway (1925) e a Orlando (1928). L’autrice britannica è considerata uno dei maggiori esponenti del Modernismo e tra gli scrittori più importanti del Novecento.
L’intera opera è dominata dai tortuosi flussi di coscienza dei personaggi, che oscillano tra dilemmi esistenziali e crucci quotidiani.
La signora Ramsay è la principale coscienza narrante, seguita dai suoi otto figli, dal marito e dagli amici con cui la coppia trascorre le vacanze estive. Il racconto è suddiviso in tre macro-capitoli: il primo e il terzo sono ambientati nella casa di villeggiatura dei Ramsay, ma a dieci anni di distanza l’uno dall’altro; quello di mezzo, invece, si focalizza totalmente sul pesante trascorrere degli anni che cambia le vite dei personaggi, spezzandone alcune. Un decennio dopo, i bambini della famiglia sono ormai ragazzi e il più anziano, il signor Ramsay, insiste per fare una gita al faro che anni prima aveva ostacolato.
Nelle menti dei personaggi riecheggiano diverse visioni del mondo, che si scontrano creando momenti di tensione, come avviene spesso trai coniugi Ramsay. La donna è affascinata dalla fanciullezza dei figli e dalla purezza delle loro potenzialità, ancora immuni alla vecchiaia e al dolore; scorge la bellezza che si cela dietro a una frase, un gesto, un pensiero, un paesaggio. Per contro, Il marito affronta la routine quotidiana con razionalità, riservando una profonda ammirazione soltanto al mondo della filosofia.
Si scontrano anche due modelli di donna: la signora Ramsay e Lily Briscoe, giovane pittrice zitella, tanto distaccata dal ruolo di madre e moglie quanto affascinata dalla perfezione con cui la protagonista lo ricopre.
Anni dopo, i personaggi rivivono i luoghi del passato, che gli appaiono privi della loro anima. È qui che i ricordi del primo soggiorno e le esperienze dolorose degli anni seguenti si fondono, portando ai protagonisti una nuova consapevolezza di sé.
Gita al Faro ci immerge minuziosamente nel mondo del pensiero, intangibile da qualsiasi contenimento, e libero a tal punto da superare qualunque distanza temporale e culturale.
Il magistrale utilizzo dei flussi di coscienza rende l’opera, talvolta, difficile da seguire e da comprendere, ma è proprio grazie a questa complessità che Gita al Faro preserva la propria unicità fino a oggi.
Noi lettori contemporanei, abituati a trame frenetiche e ricche di eventi, siamo costretti a entrare in una dimensione di lettura più calma e poetica. Il romanzo propone una forma di evasione dalla realtà inusuale al giorno d’oggi, che non si limita a distrarci, colmando il nostro tempo, ma che accresce la consapevolezza dei nostri stessi pensieri. È da questa autoriflessione che il nostro monologo interiore si apre, lentamente, alla dinamicità e all’eterogeneità dei pensieri dei personaggi.
Gita al Faro è un capolavoro senza tempo, un dolce viaggio poetico, in cui ciascuno può immedesimarsi e cui nessun lettore dovrebbe voler rinunciare.