Sadakichi Hartmann – Poesie collezionate. 1886-1944

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Sadakichi Hartmann è stato descritto come “una delle figure più intriganti e trascurate nella storia della poesia americana” (Juliana Chang), e con questo notevole volume, la dott. Floyd Cheung si propone di recuperare ciò che considera un anello mancante vitale della Letteratura asiatico-americana. Sadakichi Hartmann, apprendiamo, nacque nel 1867 sull’isola di Dejima, in Giappone, da un mercante prussiano e da una donna giapponese che morì poco dopo la sua nascita. Da allora in poi fu allevato da un ricco zio di Amburgo. Fu noto come critico d’arte (in particolare come paladino della fotografia come forma d’arte), scrittore, performer e “bon vivant extraordinaire”. Artista audace e temerario, diresse “concerti” olfattivi, che a volte fallivano in modo spettacolare, e bevette “sfrenatamente” con tutti, dai poeti simbolisti di Parigi ai bohémien del Greenwich Village, fino alle star del cinema di Hollywood. Ezra Pound disse “Se uno non fosse stato se stesso, sarebbe valsa la pena essere Sadakichi”.
L’introduzione di Cheung ritrae una personalità simile a quella di Rimbaud, intenta all’edonismo, a spremere ogni goccia di piacere possibile. Hartmann aveva frequenti attacchi d’asma, quindi quando stava bene, il suo motto era “carpe diem”. Scoprì Leaves of Grass (Foglie d’erba) di Walt Whitman nel 1884 all’età di diciassette anni e, completamente affascinato, andò a trovare lo scrittore sessantacinquenne per imparare non solo nozioni sulla poesia, ma “come essere un poeta”. Il modo in cui si presentò, i costumi e la postura che adottò, Whitman li fece suoi. La loro divenne “una relazione profonda anche se tumultuosa”, e l’influenza di Whitman su Hartmann si può notare dall’uso di immagini naturali e nautiche. All’epoca Whitman disse: “Ho più fiducia in lui che non in tutti gli altri”.
Il lavoro di Hartmann fonde l’immaginario Whitmaniano con l’estetica giapponese, sebbene, al posto delle foglie di Whitman, Hartmann utilizzi i fiori bianchi come simbolo ricorrente. Anche se indossava un kimono quando teneva conferenze di argomento giapponese, Hartmann diceva spesso che non aveva mai pensato a se stesso come un tedesco o un asiatico: “Gli altri lo fanno per me”. Pubblicò con diversi pseudonimi; a volte, ci dice Cheung, “due autori sono apparsi fianco a fianco nella stessa pubblicazione”.
Con una presentazione così splendida, pregustavo un lavoro entusiasmante. Lo stile di Hartmann è rapsodicamente romantico, spesso mediante l’uso di registri formali, aggettivi fiammeggianti, sibilanti, e rima, nella sua esaltazione del mondo naturale (tenta spesso di fondere il sé con la natura), o dell’amore:

Rosa d’amore, non vergognarti della tua languida
grazia, della tua tremante nudità
nell’abbraccio del sole.
Perché il bacio dei soli ardenti è della tua vita
il desiderio e il flusso di luce dorata nutre
la tua sfrenata anima di fuoco.
-Poems to Eva-

Lussureggiante e spesso idealista, i suoi precedenti “eccessi fruttati e profumati” ricordano Whitman, e lo stile esclamativo evoca Baudelaire. Come Baudelaire, è anche cinico e stanco, dopo che l’iniziale idealizzazione dell’oggetto d’amore è svanita; tutto ciò che rimane è “… il lavoro monotono della lussuria” (“Ore di mezzanotte”). L’amore, si rende conto, “è destinato a morte, quando la passione / nell’oscurità stellata gira nel suo sinistro / telaio il sudario per le gioie della notte.” (“The Courtesan’s Complaint”- Il Lamento della cortigiana). Come Baudelaire, i suoi fiori sono simboli che hanno significati diversi.

In questa raccolta di 191 pagine, non ci sono molte poesie che abbiano un significato profondo, per me, ma qui ce n’è una che lo ha, in cui le immagini della natura evocano l’evanescenza dell’amore, e la dissonanza e la rima sono efficaci:

Perché non ti amo più?
Chiedi perché l’estate è fuggita,
Perché l’autunno è morto con il suo bagliore granato,
Perché il mare è grigio e il cielo è grigio;
Perché le burrasche amare delle saline soffiano,
Dove gli uccelli marini praticano il gioco macabro
E i baccelli del latiro sono inariditi
Sulle spaccature lunghe e curve di sabbia lacerata dai sogni;
Perché la riva è segnata dalla mano ruvida del tempo,
E le navi in rotta sui mari invernali
Sono distrutte sul filo di cenere!

Trasferitosi a Parigi, Hartmann subì l’influenza dei poeti simbolisti e modernisti. Coloro che incontrò (tra cui Ezra Pound, George Santayana e Gertrude Stein), ebbero un impatto significativo su di lui, in particolare i suoi incontri con Stéphane Mallarmé e Paul Verlaine. Da loro imparò a cercare l’accesso a due sfere diverse: “la sfera superiore del mistico al di là, e la sfera interiore del sé”. Il loro approccio consisteva nell’utilizzare “immagini concrete del mondo quotidiano … come veicoli per l’invisibile.” Inoltre lo introdussero al concetto di sinestesia, che emerge frequentemente nel suo lavoro: “attraverso i prati i sospiri della sua fragranza volavano” (“Broken Lily”-Lillà spezzato). Questo approccio, decise, “consente l’accesso a uno spazio infinito e misterioso al di là di questo mondo.” Hartmann flirtava anche con l’aspetto visivo del poema sulla pagina, spesso inclinando ogni linea, e faceva esperimenti con la forma. Ci sono villanelle, sestine, ritornelli e pantou, così come numerosi haiku e tanka, una forma che viene accreditata con l’introduzione al pubblico americano.
Alcuni versi sono belli – “Il giorno è malato di pioggia” – ma il loro effetto è minato quando sono seguiti da trite filastrocche e da una quantità di metafore melodrammatiche che, almeno all’orecchio contemporaneo, sfiorano il ridicolo:

Di nuovo lampeggiano lampi di violenza
montagna a montagna di lussuria, come l’aquila
dell’amore sta spaccando le nuvole di polvere amorosa.
(‘Mysterious Flirtation’ – Flirt misterioso)

Hartmann, come molti suoi contemporanei, fu ispirato dal Rubaiyat di Omar Khayyám, che scatenò una “Omar mania” e diede il via a molti imitatori. La versione di Hartmann, “My Rubaiyat”, fu rivista numerose volte – se Whitman rivide Leaves of Grass per sei volte, lo stesso fece Hartmann – e la sua versione del 1916, fortemente critica nei confronti della speculazione di guerra, difende l’obiezione di coscienza. Invece di una prefazione a questa pubblicazione, scrive una lettera a un critico, sostenendo che ‘Il mio Rubaiyat sopravviverà. Possiedo l’arroganza della convinzione.’ Pieno di immagini ‘pittoriche’, come le definisce lui, i suoi messaggi sono semplici e accessibili:

XXXI
Così tanti fanno come fanno gli altri,
Non possono sollevarsi dalla muffa verde
Nella quale i loro pensieri sono troppo cresciuti.
Per loro nessun petalo di loto soffia,
Si inchinano a qualsiasi giogo,
E scavano come talpe sotto terra.

Più interessante:

Lì crescevano fiori sul ciglio della strada –
Erano miei. Non li ho colti.

E la sfida alla fine della stanza XXl:

“Sei stato fedele a qualcuno?”

Sviluppa note più ottimistiche e per fortuna evita gli eccessi esagerati delle immagini precedenti:

XXXIX
… I regni delle stelle che si aprono di notte
Ci parlano di altri mondi meravigliosi –

In qualche modo didattici, i suoi aforismi hanno lo scopo di attrarre la cameriera così come l’intellettuale, e dice al suo critico:

LX
‘… Quello che ti piace di più è meglio per te.’

Ci sono molti versi citabili in questo poema di 75 stanze, e secondo me questo è il poema più solido della sua carriera, se non altro per il suo ritmo piacevole, le rime e la semplicità.
Il suo notevole saggio “La concezione giapponese della poesia (1904)”, incluso qui, introdusse gli americani al simbolismo delle immagini verbali e delle parole ‘perno’ (parole con due significati) che rappresentavano al meglio l’haiku giapponese, e Cheung sostiene che Hartmann fu determinante nella fioritura del movimento Imagista Americano.

Era certamente ambizioso. In una delle sue poesie senza titolo, scrive: “Se parole mie / hanno forza personale per vivere / Secoli quindi …” Ridendo di se stesso, scrive persino il proprio necrologio in forma di poesia. Ma la mia impressione generale è che, a parte “My Rubaiyat” e il saggio sopra menzionato, entrambi abbastanza interessanti, questa raccolta ha un valore come curiosità, piuttosto che un merito letterario significativo. Francamente, sarei stata più incuriosita a leggere una biografia dell’eccentrico Hartmann, che un amico ha descritto come una miscela di Mefistofele e Madame Butterfly – la sua vita avrebbe potuto diventare un film avvincente. In ogni caso, l’accurata raccolta di Cheung delle prime poesie di Hartmann e la sua lunga, contestualizzata introduzione a un affascinante ibrido letterario, merita la lode, e sicuramente attirerà un seguito.

Pubblicato su Sabotage Reviews, 13 settembre 2016

Traduzione di Silvia Accorrà

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La raccolta di debutto di Afric McGlinchey, "The lucky star of hidden things" - "La buona stella delle cose nascoste" (Salmon Poetry, 2012), concentrata sulla sua educazione ricevuta tra l'Irlanda e l'Africa, è stata tradotta in italiano. Nominata per i premi Pushcart, Best of the Net e Forward, il suo lavoro è apparso su riviste di tutto il mondo. Le tematiche principali del suo lavoro riguardano il nomadismo: fisico, immaginativo e psicologico. La sua poesia è stata tradotta in cinque lingue e utilizzata nell'Irish Leaving Certificate Examinations Book. Tra i premi ricevuti, l’Hennessy Emerging Poetry Award e la selezione per uno scambio culturale italo-irlandese nel 2014. È stata elencata tra i "Rising Poets" irlandesi in Poetry Ireland Review e ha ricevuto una borsa di studio Bartistica per lavorare alla sua seconda raccolta, "Ghost of the Fisher Cat" – "Il fantasma del gatto pescatore" (2016), che è stato nominato per diversi premi. Afric vive a West Cork, dove lavora come editor freelance. Di recente ha ricevuto una borsa di studio del Consiglio d'Arte per la ricerca e per scrivere il suo prossimo libro. Sito web: www.africmcglinchey.com

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