Nel panorama del noir italiano contemporaneo, Le sultane di Marilù Oliva si impone come un’opera originale, spiazzante e perfettamente calibrata: un piccolo gioiello narrativo che, con la leggerezza tagliente della commedia nera, riesce a scavare nel profondo dell’animo umano, svelando le ombre più torbide che si annidano dietro la rispettabilità piccoloborghese e l’apparente quiete domestica. È, senza dubbio, il miglior noir dell’autrice, e lo è per almeno tre motivi: l’invenzione dei personaggi, la struttura narrativa lucidamente costruita, e la capacità di coniugare tensione e ironia in un equilibrio tanto perfetto quanto raro.
A far brillare il romanzo sono soprattutto le protagoniste, tre anziane signore – Wilma, Nunzia e Mafalda – che condividono un cortile, i pomeriggi e un sarcasmo tagliente quanto la loro disillusa lucidità. Sono figure che ribaltano gli stereotipi sull’età, sulla femminilità e sul ruolo sociale delle “vecchiette”, che ben presto prendono in mano le redini della narrazione e, letteralmente, della giustizia. Ma Le sultane non è solo il romanzo di tre vendicatrici improvvisate: è anche un’indagine sull’abuso, sul silenzio, su solitudine e complicità, narrata con uno stile graffiante che mescola tenerezza e precisione chirurgica.
Marilù Oliva compone un noir che non ha bisogno di commissari né di detective, ma che si muove per accumulo di piccoli indizi emotivi, segnali domestici, sussurri e cose non dette. È un romanzo in cui il delitto non è il punto d’arrivo, ma il detonatore di qualcosa di più profondo: una critica sociale spietata ma non cinica, una riflessione sul peso del tempo, sulla violenza che serpeggia tra le mura delle famiglie, sulle vite che si consumano ai margini e senza clamore.
Eppure, in mezzo al buio, Le sultane fa anche ridere. Fa ridere sul serio. Perché l’autrice ha la rara capacità di maneggiare il dolore senza piagnistei e la ferocia senza compiacimento, creando una scrittura che sa essere popolare nel senso più alto del termine: accessibile, viva, vibrante d’intelligenza e compassione.
Romanzo breve ma denso, dimostra che si può innovare un genere senza snaturarlo; che si può raccontare una storia di vendetta e solidarietà tutta al femminile senza moralismi né caricature; e che a volte il noir più geniale non si gioca nelle strade buie o nei bassifondi, ma nel chiacchiericcio di un cortile, nell’odore di minestrone, nei battibecchi tra donne che la società ha smesso di vedere – e che invece hanno molto da dire, e da… compiere.





















