Marie Kondo – Il magico potere del riordino

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Alcuni libri nascono già con la vocazione del supermercato: pensati per scivolare veloci tra gli scaffali, per brillare con una copertina accattivante e uno slogan da adesivo, e poi evaporare subito dopo l’acquisto, pronti per il cassonetto o per la cassettina del book-crossing. Il magico potere del riordino di Marie Kondo appartiene a questa categoria con una perfezione quasi sospetta. È l’apoteosi del manuale usa-e-getta che insegna a… usare e gettare. Perché, a ben vedere, tutta la sua filosofia non è che la celebrazione del liberarsi di ciò che si possiede, con l’entusiasmo compulsivo di chi può permettersi di buttare via senza pensarci due volte: vestiti ancora buoni, oggetti ancora funzionanti, ricordi che pesano solo perché non “scintillano di gioia”. È facile predicare l’ascetismo quando si ha il portafogli pieno: il vuoto si riempie in un attimo con la carta di credito.

Ma il punto più assurdo, quasi offensivo, è la questione dei libri. Kondo, con la leggerezza glaciale di chi non ha mai sfiorato davvero il calore della letteratura, invita a disfarsene immediatamente, una volta letti. Come se un romanzo, un saggio, una poesia non avessero la forza di continuare a vivere sullo scaffale, nelle nostre menti, nei nostri cuori, come se non potessero tornare a dirci qualcosa anni dopo, magari in modo diverso, di custodire dentro le pieghe una memoria personale e collettiva. Solo chi della letteratura non ha rispetto, anzi, chi la teme può sostenere un’eresia simile: che il libro è un oggetto come gli altri, intercambiabile, da gettare come un cartone della pizza.

Altri hanno già fatto notare l’inconsistenza di questa filosofia del decluttering: dietro la patina di zen e minimalismo, non c’è altro che il culto dell’effimero, il feticcio della superficie, la promessa di un ordine che dura il tempo di un trasloco o di un’altra sessione di shopping. È una retorica che funziona bene solo nelle case da catalogo, quelle senza polvere, senza figli, senza memoria. La vita vera – quella fatta di accumuli, di oggetti che raccontano storie, di scaffali che crescono storti ma pieni di tracce umane – non entra mai in queste pagine, né in queste case senz’anima.

Alla fine Il magico potere del riordino non insegna a vivere meglio, ma a consumare di più: a sbarazzarsi oggi per comprare domani, a rimuovere anziché comprendere, a svuotare anziché dare peso. È un libro che scambia la leggerezza con la superficialità, l’ordine con l’amnesia, il benessere con lo spreco. Un manuale, insomma, che avrebbe fatto meglio a buttar via se stesso.

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