La vita del tranquillo Tony Webster scorre al riparo di scelte ragionevoli e con l’accettazione della propria mediocrità. Subisce però un’impennata all’arrivo della lettera di un avvocato, che annuncia un’inattesa quanto enigmatica eredità. È così che si trova costretto ad abbandonare la noiosa sicurezza del quotidiano, per tornare con la mente al passato e alle sue molte zone d’ombra.
Il libro è diviso in due soli capitoli: nel primo scopriamo la storia del giovane Tony, della sua formazione morale, sentimentale e sessuale; nel secondo un Tony anziano cerca di comprendere le vicissitudini del primo.
La narrazione ruota attorno al tema del ricordo, e soprattutto mette in luce la fallacia della storia, quella certezza che prende consistenza là dove le imperfezioni della memoria incontrano le inadeguatezze della documentazione, secondo il geniale amico dei tempi del liceo, Adrian Finn. Amico che gli soffierà la ragazza di allora, Veronica, e che ritorna nel suo presente con prepotenza inaspettata.
L’abilità di Barnes è tutta nel creare una sorta di thriller esistenziale, retto su un filo sottile, ricco di domande e pensieri del protagonista. Una suspense che imprigiona nelle pagine, con tratti spesso ironici seppure a volte un po’ algidi, fino al sorprendente finale. È a questo punto che il narratore ci lascia con un palmo di naso e ancora molto da fare, nel ruolo di lettori. Perché il tema del ricordo, perno dell’opera, ci costringe a porci domande, facendoci tornare col pensiero a tutta la storia appena letta. Quanto e quante volte manipoliamo un ricordo per assoggettarlo al nostro presente? Quante volte un ricordo si sovrappone alla verità impedendoci di vederla chiaramente? La capacità di Barnes è di costringerci, con questo piccolo capolavoro di invenzione letteraria, a leggere e rileggere con il suo sguardo cinico, spietato e ironico l’inettitudine del protagonista. E forse la nostra.