La geometria è per molti una materia ostica fatta di formule improbabili, che però è necessario studiare almeno per essere promossi. Edwin A. Abbott ebbe invece la straordinaria intuizione di utilizzarla come metafora per descrivere in modo satirico il positivismo della società ottocentesca.
Abbott fu uno studioso di letteratura, di scienza e teologia. Nell’arco della sua vita scrisse molti libri, ma soprattutto testi scolastici. Sarà forse questo il motivo per il quale un romanzo che si basa su teorie geometriche ci sembra di facilmente comprensibile.
Flatlandia (1884) è un racconto fantascientifico in cui viene minuziosamente descritto un mondo Flat (piatto), fatto solo di due dimensioni. Il narratore nonché protagonista è un Quadrato, ma la società è composta da triangoli, pentagoni, esagoni e così via. Più lati – rigorosamente uguali – si hanno, più il ceto sociale cui si appartiene sarà elevato. Un ingente numero di lati fa sì che la figura abbia angoli meno acuti, di conseguenza meno pericolosi per chi vi è accanto: una bellissima metafora su quanto la minaccia fisica sia inversamente proporzionale all’intelligenza.
La donna è una linea retta: l’unico individuo ad avere solo due dimensioni. Per questo motivo non può aspirare ad alcun lavoro o avanzamento di grado, in quanto è ritenuta priva di raziocinio. Al tempo stesso, però, la sua forma fisica è un vero e proprio pericolo per gli uomini di Flatlandia, poiché, se vista frontalmente – o posteriormente -, la sua dimensione è talmente impercettibile da non essere visibile e, di conseguenza, in grado di trafiggere chiunque senza che questo se ne accorga. Per evitare che ciò accada, le donne devono emettere un Grido di Pace mentre camminano, così da segnalare la loro presenza e non commettere stragi. Il genere femminile è dunque considerato privo di capacità intellettive e potenziale minaccia per il genere maschile. Ma tale visione viene messa in dubbio dalla scoperta della terza dimensione: le donne non sono linee rette, bensì rettangoli molto allungati, di conseguenza provviste di due dimensioni esattamente come gli uomini. Vi è dunque un cambio di prospettiva: non sono le donne ad aver qualcosa in meno degli uomini, semplicemente questi non sono in grado di capire la reale forma delle donne. Insomma, Flatlandia è sì un romanzo di fantascienza, ma il mondo che ci viene presentato è in grado di riflettere l’ipocrisia di un’epoca non così diversa dalla nostra.
La terza dimensione non modifica solo la posizione della donna, ma scardina le basi su cui poggia la piramide sociale di Flatlandia. Non è però semplice accettare ciò che non si comprende del tutto. Per noi è facile riconoscere l’esistenza di una terza dimensione in quanto siamo in grado di vederla, di percepirla. Ma se qualcuno vi dicesse che ne esiste una quarta, sareste in grado di comprenderla? E di immaginarla? Bene, in questo libro Edwin A. Abbott ci prova, e il risultato è a dir poco singolare.