Antonio Scurati – M. Il figlio del secolo

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Antonio Scurati, con M. Il figlio del secolo, ha firmato uno dei più celebrati romanzi italiani degli ultimi anni, un’opera che si fregia del titolo di “romanzo documentario” e si propone come narrazione epica dell’ascesa di Benito Mussolini. Tuttavia, nonostante il successo di pubblico e i premi raccolti, il libro è un tipico esempio di quel gigantismo editoriale che confonde quantità con qualità, e che prospera in un’epoca in cui il rigore si confonde con il compitino scolastico e l’ambiguità con la profondità. È il classico prodotto di un’epoca intellettualmente ipovedente, in cui il monocolo della buona coscienza basta per diventare profeti della memoria. 

Che Scurati sia uno storico lo sappiamo. Ce lo ricorda lui stesso a ogni pie’ sospinto, come se la sua formazione garantisse automaticamente l’imparzialità del racconto. Ma il romanzo, nella sostanza, è scritto dal punto di vista di Mussolini: la “M” del titolo non è solo un’iniziale, ma una firma silenziosa su ogni pagina. Questo non sarebbe un problema in sé – tanti romanzi riescono a raccontare personaggi odiosi dall’interno senza cadere nella seduzione – se non fosse che Scurati indulge: incede tra i pensieri e i gesti del Duce con una specie di fredda fascinazione, lasciandoci in una terra di nessuno tra la condanna e la complicità. Le rare note critiche, affidate a brani di giornale o lettere d’epoca, sembrano quasi comparse stanche, mentre la voce principale è sempre quella del protagonista, analizzata, accompagnata, quasi giustificata. La pretesa di neutralità si rivela una posa, e la scrittura si fa ambigua al punto da risultare pericolosa, soprattutto in un’epoca in cui la rilettura dei fascismi è tutt’altro che pacificata, anzi, troppo spesso esaltata.

Un altro problema di non poco conto è che, nella sua ossessione per il rigore documentale, Scurati dimentica di scrivere un romanzo. La narrazione è soffocata da ritagli, citazioni, documenti, interi discorsi riportati in stile diretto o indiretto. Il tono è monocorde, scolastico, da verbale ministeriale più che da epica civile. Non c’è tensione narrativa, né una vera ricerca stilistica. I dialoghi sono piatti, le descrizioni rarefatte o didascaliche, le sequenze ripetitive fino allo sfinimento. Con l’ansia di non farsi smentire, l’autore napoletano costruisce un mostro di carta che non emoziona né disturba: è il libro di storia che nessuno ha mai voluto leggere, travestito da romanzo che tutti fingono di amare.

L’impianto stesso del progetto, che dovrebbe estendersi a più volumi (una vera saga mussoliniana!), si regge su un espediente stanco: l’alternanza tra narrazione e documentazione, tra finzione e cronaca, viene riproposta sempre uguale a se stessa, come una formula da format televisivo. Dopo le prime cento pagine, il lettore capisce già tutto: il tono non cambierà, lo stile non evolverà, i personaggi (anche quelli realmente esistiti) rimarranno bidimensionali come in un album illustrato per liceali, la voce narrante sarà sempre la stessa, autocompiaciuta e intenta a dimostrare la propria presunta astuzia. Si avanza per inerzia, come chi percorre una maratona tra villette a schiera tutte uguali, aspettando un colpo di scena che non arriverà mai, perché la Storia, nella scrittura di Scurati, ha già deciso tutto in partenza – e anche il pathos è già archiviato.

È qui che M. Il figlio del secolo mostra la sua natura più autentica: un best-seller costruito a tavolino, figlio di un’editoria che ha capito che la “grande narrativa civile” può vendere quanto il thriller, se le si dà una copertina sobria e qualche timbro accademico. Ma questa “letteratura dell’impegno” ha lo stesso difetto dei talk-show in cui gli intellettuali si danno battaglia in prima serata: l’apparenza della profondità senza il rischio del pensiero, l’esposizione di una verità comoda perché già condivisa. Tutti sappiamo che Mussolini è stato un tiranno: ripeterlo per novecento pagine non è coraggioso, è consolatorio. L’autore non rischia mai una posizione scomoda, non sonda davvero le zone oscure dell’animo umano, né tenta un’esplorazione letteraria delle pulsioni di massa. Così il romanzo non inquieta: rassicura chi vuole sentirsi dalla parte giusta della storia senza mettersi in discussione. Ed è affetto dallo stesso gigantismo di Mussolini. 

M. incarna le contraddizioni dell’editoria contemporanea: ambizioso e povero di idee, monumentale e noioso, apparentemente impegnato ma sostanzialmente innocuo. È un libro che approfitta dell’anemia intellettuale del nostro tempo per erigersi a classico contemporaneo, ma non ha la forza per durare, né la lingua, né il pensiero. Quando il rumore si sarà placato, resterà un’impressione di faticosa inutilità, come dopo aver letto un’enciclopedia scritta in stile burocratico, con la presunzione di chi si crede veggente perché ha un occhio solo: nel regno dei ciechi, Scurati scrive con un monocolo incrinato, e nessuno osa chiedergli di toglierselo.

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Heiko H. Caimi, classe 1968, è scrittore, sceneggiatore, poeta e docente di scrittura narrativa. Ha collaborato come autore con gli editori Mondadori, Tranchida, Abrigliasciolta e altri. Ha insegnato presso la libreria Egea dell’Università Bocconi di Milano e diverse altre scuole, biblioteche e associazioni in Italia e in Svizzera. Dal 2013 è direttore editoriale della rivista di letterature Inkroci. È tra i fondatori e gli organizzatori della rassegna letteraria itinerante Libri in Movimento. ha collaborato con il notiziario "InPrimis" tenendo la rubrica "Pagine in un minuto" e con il blog della scrittrice Barbara Garlaschelli "Sdiario". Ha pubblicato il romanzo "I predestinati" (Prospero, 2019) e ha curato le antologie di racconti "Oltre il confine. Storie di migrazione" (Prospero, 2019), "Anch'io. Storie di donne al limite" (Prospero, 2021), "Ci sedemmo dalla parte del torto" (con Viviana E. Gabrini, Prospero, 2022), "Niente per cui uccidere" (con Viviana E. Gabrini, Calibano, 2024) e "Trasformazioni. Storie dal pianeta che cambia (con Giovanni Peli, Calibano, 2025). Svariati suoi racconti sono presenti in antologie, riviste e nel web.

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