Allan Gurganus – L’ultima vedova sudista vuota il sacco

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Lucy Marsden è una reliquia vivente: è l’ultima vedova di un reduce della Guerra di Secessione, arrivata, ormai novantenne e ricoverata in un ospizio, alle soglie degli anni Ottanta del secolo XX. Abituata alle interviste e alla curiosità dei giornalisti, tuttavia Lucy non ha mai occasione di parlare di se stessa, poiché le domande che le vengono rivolte riguardano tutte il defunto marito, che si arruolò sotto le insegne di Lee a soli tredici anni e da quella esperienza uscì non tanto come eroe, ma segnato e devastato in un modo che solo Lucy ha compreso ed è in grado di raccontare.
L’anziana signora decide pertanto di raccontare tutta la verità e, per la prima e unica volta nella sua vita, di parlare di se stessa, della sua vita in quel Sud che tutti conoscono grazie a Via col Vento (da lei definito “Quel gran cinema”) e di raccontare, con un linguaggio colorito e sgrammaticato, novant’anni di storia americana.

Il racconto, articolato in pochi, lunghissimi capitoli, si snoda senza soluzione di continuità alternando le reminiscenze di guerra di Will, che non sarà più in grado di liberarsi degli orrori visti in guerra e diventerà uno di quei reduci capaci di parlare di un solo argomento, nel disperato tentativo di esorcizzarlo, a quelle di Lucy, sposa quindicenne di un uomo già quasi vecchio, totalmente all’oscuro dei fatti della vita e costretta a trascorrere un’esistenza priva di amicizie e sostegno familiare.
Sebbene dura, però, la vita di Lucy non è stata infelice: la nascita di nove bambini, un ruolo attivo nella comunità, gli scontri sempre più amichevoli con Castalia, un tempo schiava di Will e in seguito simpatica e dispotica padrona di casa, rendono tollerabile l’esistenza in quella Virginia arretrata e rurale nella quale sembra impossibile che qualcosa possa cambiare.

Intorno ai personaggi principali, l’autore descrive efficacemente un mondo scomparso, affollato di caratteri che emergono dall’ombra per raccontare storie di dolore, incomprensione, fatica, tra i quali spiccano la svampita signora Marsden e Ned: la prima incapace non solo di accettare ma perfino di comprendere una parola come Secessione, concetto astratto che le ha portato via prima il figlio, poi la casa e infine tutto il suo mondo; l’altro spettrale figura che aleggia su tutto il romanzo, il compagno di giochi di Will, soldato bambino dall’incantevole voce, mai tornato dai campi di battaglia e sepolto in una palude, ossessione e rimorso dell’amico fino al punto di rischiare la vita del suo stesso figlio nel tentativo di individuarne la tomba.
Non si pensi, però, che il romanzo di Gurganus sia un’elegia del bel tempo passato o si limiti a descrivere un quadretto di vita campagnola: il racconto di Lucy, frizzante e ironico, non nasconde ogni possibile critica a quel mondo scomparso, nel quale il colore della pelle divideva gli esseri umani in categorie e dove per una ragazza l’unico sbocco possibile era un matrimonio che l’avrebbe resa proprietà di un marito-padrone, alla stessa stregua degli schiavi.

Lo stile del romanzo è interessante, grazie alla scelta di far parlare la protagonista in una sorta di dialetto molto colorito, che deve aver rappresentato un’ardua sfida per l’ottimo traduttore Raul Montanari (non a cao anche scrittore di levatura), tuttavia in alcuni punti il ritmo cala e certe parti sembrano ripetute, rivelando un certo autocompiacimento dell’autore, che avrebbe potuto rendere più snella e agile la narrazione sfrondando gli episodi minori.

Una lettura impegnativa per l’enorme mole del romanzo, che sfiora le 1200 pagine, adatto a indomiti lettori appassionati di vicende umane.

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