William Wall – La trappola

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Accadde il giorno in cui l’uomo di Gesù chiamò. Ero sola in casa quando sentii bussare. Aprii la porta e capii immediatamente cosa voleva. Dissi No grazie, io non credo in Dio. Lei è proprio la donna con cui voglio parlare, rispose. Rimasi lì esasperata, mentre lui mi spiegava che avrei potuto ricevere una bibbia gratis e, per una piccola somma di denaro a semplice copertura delle spese di stampa e rilegatura, una guida gratuita alla lettura del Libro Sacro. Una volta che ne avessi letta un po’, lui mi avrebbe richiamata e ne avremmo parlato. La cosa principale che avrei scoperto in quel libro era che Gesù ama tutti nel mondo intero.
Giusto, dissi, venga dentro e vediamo che cosa il vostro dio può fare con questo.
Lo portai in cucina e gli mostrai la trappola.
Capii subito che aveva notato la stessa cosa che avevo notato io. Il topo si era lanciato nella trappola e poi era rimasto bloccato nella colla. Le zampe anteriori erano tese in avanti e incollate fino al gomito. Il mento era incollato. Aveva tentato di raspare all’indietro con le zampe posteriori. Sembrava inginocchiato su un tappeto in preghiera.
Mentre lo guardavamo, la coda si mosse. I piccoli occhi nero lucido ci guardavano. La mascella superiore si mosse un po’.
Come morirà, chiese l’uomo di Gesù.
Ho cercato di tirargli fuori una delle zampe, dissi, usando un coltello smussato, ma si è subito bloccato nella colla.
Morirà di fame, vero?
Non posso sopportarlo, dissi.
Non l’avevo detto all’uomo di Gesù ma, da quando ero scesa al piano di sotto quella mattina, mi ero seduta in cucina a guardare il topo. Avevo tenuto accesa la radio per un po’, ma la musica pop non va bene con quelli che muoiono di fame. Per un’ora o giù di lì l’avevo guardato in silenzio. Ogni volta che si muoveva. E a volte ero riuscita a vedergli battere il cuore. Mi chiedevo quanto tempo ci sarebbe voluto. Era una colla Victor forte, professionale, per trappole. Funzionava.
Bisogna che lo faccia smettere di soffrire, disse.
Lo guardai. Era un uomo piccolo ma molto ben proporzionato, con larghe spalle quadrate e una bella testa sottile, un piccolo naso schietto e una bocca piccola, i capelli ricci. Aveva messo il sacchetto di bibbie e guide sul tavolo accanto al piattino di latte che volevo offrire al topo, prima di accorgermi che gli si era incollata anche la mascella inferiore.
Non esco più, dissi. Ho l’ansia. Mi preoccupo di tutto. Non dormo mai.
Guardava il topo.
Perché ha comprato una trappola del genere?
È più umana.
Ho sempre visto solo quelle con la molla.
Muoiono comunque lentamente.
Fece un cenno con la testa. Probabilmente ha ragione.
Voglio sapere questo: il suo Dio come intende salvare questo topo?
Si appoggiò al lavandino e incrociò le braccia, la camicia bianca come il ghiaccio. I pantaloni avevano una piega a lama di coltello. Li aveva stirati lui? A casa c’era qualcuno ad aspettarlo per sapere come era andata oggi con Gesù? Capii che ora era più a suo agio. Non gli piaceva guardare il topo, ma era abbastanza felice mentre mi guardava e si chiedeva cosa avrei avuto da dire su Gesù. E cosa mi avrebbe potuto rispondere. Voleva convertirmi.
La scelta è sua, disse, Dio non la farà per lei.
Perché no?
Dio ha creato il topo e ha creato lei.
Dio ha creato la trappola.
Dio non crea le trappole.
Dissi, Ok venga con me.
Lo condussi lungo il breve corridoio e in camera mia. Gli mostrai il letto con le lenzuola gettate indietro. Non ho idea di cosa pensavo avrebbe visto lì o del perché avessi bisogno di mostrarglielo.
Ok, dissi, io l’amavo. Lo capisce? Ho lasciato la mia famiglia per lui. Sono venuta qui per lui. In questo paese.
Non so di cosa lei stia parlando.
Come si chiama?
Aprii l’anta dell’armadio. Le giacche erano ancora lì appese. Ce n’erano quattro. Due giacche sportive in tweed, un Parka e una giacca a vento.
Mi dispiace, avrei dovuto dirglielo. Sono Andrea.
Tese la mano. La presi e la tenni. Dopo un po’ la ritirò. Era imbarazzato.
Queste giacche, dissi.
Guardò nel guardaroba.
Cosa?
Ne vuole una? Gliene do due per cinque euro.
Sul serio?
Mi sono messa a ridere. Tirai fuori le due giacche di tweed. Erano quelle che indossava al lavoro. Dov’era andato? Forse era stato investito da un autobus. O era finito sotto un treno. Forse sarei dovuta andare alla polizia e sporgere denuncia. Ma non avevo voglia di uscire. Avevo ordinato la spesa da Tesco. Ogni piccola cosa aiuta. La verità era che lui si era stancato di me. Sono un relitto. Mi preoccupo di tutto.
Misi le giacche sul letto.
Ho dato via la mia bambina per lui, ho detto. Ora non so dove sia. Ho firmato per darla via. Lui non voleva la sua bambina. Che razza di uomo è?
L’uomo di Gesù non diceva nulla. Potevo sentire il suo respiro.
Vuole le giacche o no?
Lui agitava le mani. Riconosco i segni di panico quando li vedo. Uscì dalla porta. Tornò lungo il corridoio e, senza voltarsi verso di me, raggiunse la manopola sulla serratura Yale.
Ok Ok, ho detto, mi dica di Dio.
Ma è scappato via. Non si è fermato fuori. È sceso dai miei tre gradini, fino al marciapiede. Sembrava meno reale. Per un attimo, in camera da letto, mentre camminava per tornare indietro, avevo quasi avuto paura di lui, nonostante fosse chiaramente spaventato da me. Queste risposte irrazionali. La gente dice: riprenditi, dimenticalo.
In piedi, fuori da casa mia, ha detto Posso riavere i miei libri per favore? Li ho lasciati in cucina.
Presi i suoi libri. Gli lanciai la borsa. Era un’Eco-Bag di Marks & Spencer. Bibbie e guide si rovesciarono sul marciapiede.
Gesù ti ama.
Vaffanculo.
Chiusi la porta. Fui subito dispiaciuta. Pensai che avrei dovuto richiamarlo, chiedergli di parlarmi di come si viene salvati, di come salvare me stessa. Potrei rinascere? Questa volta come una persona diversa? Il corridoio di fronte a me portava direttamente al topo in trappola. Era il genere di momento in cui avrei voluto telefonare a casa, ma era tutto finito per me. Hai tagliato i ponti, mi aveva detto mio padre l’ultima volta. Appena prima di riagganciare. Ma lui avrebbe saputo cosa fare. Mio padre era un uomo pio, a suo modo. Conosceva tutti i preti. Non ha mai fatto male a una creatura, ma ha fatto male a me. Era il tipo di uomo che chiamereste a porre fine alle sofferenze di un animale. Quando il nostro cane prese il cancro lo portò via. Vidi il fucile sotto un tappeto nel bagagliaio della macchina. Sapevo cosa stava succedendo, ma non corsi dietro la macchina piangendo. Lo lasciai al suo destino. Era disteso su un vecchio cappotto sul sedile posteriore. Tremava, nel modo in cui i cani rabbrividiscono dal dolore. Ancora oggi non riesco a pronunciare il suo nome. Ma mio padre mi ha chiuso la porta in faccia. Mi ha chiuso fuori.
Non avrei permesso che il topo morisse di fame davanti a me. Anche un topo merita una fine decente. Anche se ero stata io a sistemare la trappola. Quella notte, mentre discutevamo gridando a vicenda, raccontandoci altre menzogne per verità, gli avevo detto: Dopo tutto quello che ho fatto per te. Capii immediatamente che erano parole di mio padre. Mi vergognai. A quel punto quello che avrei voluto dire era: Se devi andartene vattene, ma io starò qui. Perché non l’ho detto? Invece ho ripetuto le mie vecchie lamentele. Giriamo attorno alle cose proprio quando avremmo più bisogno di andare dritti. Prendiamo strade tortuose. Appena le parole mi furono uscite dalla bocca vidi il topo. Era scivolato lungo il battiscopa, poi sotto il tavolo, poi oltre la gamba della sedia della cucina e dietro il frigorifero. Così misi la trappola e andammo a letto. E la mattina il mio uomo se n’era andato. E quel povero bastardo era incollato al pavimento.
Così strappai un cartone di cornflakes e ne feci una sorta di paletta. Spostai la trappola sul cartone con il piede e lo portai in giardino, dove non cresceva nulla. Le alte pareti grigie di Shepherd Bush. Lo misi sul sentiero. Presi una grossa pietra. Mi inginocchiai e dissi, Addio piccolo, mi dispiace, ti avrei lasciato andare se avessi potuto, ma non posso. Gli lasciai cadere la pietra sopra la testa. Vidi che era stordito, ma ancora in movimento, addirittura ancora sveglio. La lasciai cadere di nuovo e lo colpii solo di striscio. Ancora una volta, e lo mancai. Me lo fecero mancare le lacrime. E tremavo. Presi una pietra più grande, un frammento di calcestruzzo che trovai in cima alla parete. Non lo uccise. C’era una lastra allentata alla fine del sentiero. La tirai su e la sollevai. Era molto pesante. La sollevai più in alto che potevo e la lanciai giù con forza. Quando tolsi la lastra vidi che era completamente schiacciato. Il cervello era uscito, spalmato sulla colla e sul cartone, una piccola scia grigia schizzata dalla testa.
Entrai e trovai una scatola da scarpe. Il giorno prima gli avevo comprato delle Nike Air. Era così contento. Apprezzava le piccole cose, ma alla fine l’inquietudine lo prendeva sempre. Suppongo di essere una di quelle persone impossibili da amare. Una bambina egocentrica, paurosa, un buco nel cuore, una solitaria.
Quando guardai il piccolo topo mi resi conto che, anche se l’avessi raschiato dentro la scatola da scarpe, la macchia di cervello sul cartone di cornflakes sarebbe rimasta. Allora lo coprii con la scatola. Col tempo le creature della notte e la terra lo avrebbero disfatto. La colla avrebbe perso potenza. Un giorno, in un futuro non troppo lontano, la luce del mattino avrebbe rivelato un piccolo bellissimo scheletro in preghiera.

© dell’Autore

Traduzione di Anna Anzani

 

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William Wall è un romanziere irlandese, scrittore di racconti e poeta. Il suo lavoro è stato tradotto in diverse lingue; traduce dall’Italiano. Il suo romanzo This Is The Country (Questo è il paese) si è qualificato per il Man Booker Prize 2005 e si è classificato per il Young Mind Prize (Premio Giovane Mente) e per l’Irish Book Awards. I suoi racconti e le sue poesie hanno vinto numerosi premi, tra cui The Virginia Faulkner Award 2011. Il suo libro più recente - Ghost Estate, un volume di poesie - è stato tradotto in italiano come Le Notizie Sono (Moby Dick Editore). Ulteriori informazioni dal suo sito: www.williamwall.net 'Wall, che è anche un poeta, scrive una prosa così carica - allo stesso tempo lirica e sincopata - che è come se Kavafis avesse deciso di scrivere su una violenta famiglia irlandese.' The New Yorker 'Il tocco di Wall nella caratterizzazione dei personaggi è leggero e agile: molti descrivono chiaramente se stessi con poche righe di dialogo.' The Guardian 'E' un tale scrittore - lirico e crudele e audace e con metafore notevolissime'. Kate Atkinson. Fotografia di Herry Moore

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