un articolo di Gordiano Lupi
In meno di un anno mi son letto tutto quel che c’era da leggere di Murakami. Adesso il problema è cosa fare, mica è facile trovare qualcosa di altrettanto valido da leggere, soprattutto di autori italiani, anzi, in quel caso direi che è proprio impossibile.
Adesso sono a metà del guado di 1Q84 – una sorta di 1984 di orwelliana memoria rivisitato in salsa giapponese – e come sempre nei libri di Murakami niente è quel che sembra, tutto è incerto e surreale. Si viaggia a capitoli alterni. Nei capitoli dispari si racconta la vita di Tengo, un editor che deve tenere a balia una scrittrice diciassettenne, chiamato a dare forma di romanzo a una serie di idee interessanti buttate giù dalla ragazzina, del tutto incapace di scrivere – è persino dislessica. Nei capitoli pari, invece, conosciamo Aomame, una serial killer a pagamento, stipendiata da un gruppo vagamente femminista e libertario che la incarica di uccidere (con metodo sopraffino) persone che si sono macchiate di turpi reati di violenza carnale e stupro. Il bello è che le esistenze dei due personaggi si uniscono solo intorno a pagina 400, quando ci rendiamo conto che Tengo e Aomame si sono conosciuti alla scuola elementare e continuano a essere innamorati l’uno dell’altra, nonostante non si siano più visti.
Inutile andare avanti con la trama perché farebbe perdere il gusto della narrazione e della scoperta, che consiglio caldamente a tutti gli amanti della vera letteratura. Murakami è l’antidoto per ogni scrittore velleitario. Leggetelo e vi passa la voglia di scrivere le vostre cose involute che di tanto in tanto spedite agli editori. Tra l’altro questo 1Q84 mette in scena una storia ricorrente della nostra vita editoriale, quella dell’editor che scrive i romanzi agli incapaci, perché lui magari è un professore orso della scuola preparatoria (come il personaggio del romanzo) mentre la scrittrice è una gran bella ragazza con tutte le carte in regola per fare successo.
Chissà come mai a questo punto della storia mi viene sempre a mente un romanzo ambientato a Piombino pubblicato un po’ di tempo fa che fece incazzare anche il sindaco. Sarà perché leggo troppo Murakami, infatti quest’associazione di idee pare del tutto fuori luogo e io non mi permetterei mai di affermare che gli editor Rizzoli siano dei professori orsi. Resto nel mio terreno – come va di moda dire oggi nella mia comfort zone (che assurdo modo di parlare, ma lo dicono tutti!) – e mi limito a dire che, da quando leggo Murakami, non scrivo più. Non solo, non riesco a leggere un manoscritto di un esordiente, anzi avrei deciso di non pubblicare più narrativa con la mia casa editrice. Non vedo il motivo di contribuire a riempire gli scaffali (per fortuna ormai solo telematici) di roba inutile: sarebbe meglio leggere cose molto meno inutili, evitando di cadere nelle trappole degli editor e di chi s’inventa il fenomeno di turno. E poi i fenomeni non li ho mai saputi inventare, di solito li inventano gli altri dopo che mi sono scappati, quindi magari saltiamo la prima fase, nel senso che “cari editor del cazzo i fenomeni trovateveli da soli, oppure andateveli a cercare dove pagano per pubblicare stronzate, nelle loro confort zone”, per parlare come siete abituati a fare.
Nel frattempo spero che Murakami scriva un nuovo romanzo, così so cosa leggere, mentre mi faccio durare 1Q84 e ripenso alla storia dell’editor che riscrive un romanzo involuto e chissà perché mi viene ancora in mente Piombino. Eppure Il paradiso delle crisalidi era ambientato a Tokyo.