
Mi chiamo Alina e sono rumena. Lo so che la gente mi guarda anche quando vado a fare la spesa. Sento gli occhi della cassiera che mi scrutano, lo sguardo del commesso che s’infila nella mia scollatura, le addette al banco del pesce che osservano le mie ciglia finte e la chioma senza doppie punte che ho aggiunto ai miei capelli.
E la signora di mezza età che, mentre sta prendendo il petto di pollo bio dal banco frigo, si domanda come posso permettermi un paio di scarpe come queste, con la faccia che mi ritrovo. Lavoro, signora, sono una donna che lavora. Suo marito, accanto a lei, si mostra interessato alla linea dei miei fianchi e non si domanda da dove vengono tutte queste curve. A lui piacciono e basta. Adoro il modo semplice in cui sono fatti gli uomini. Vado in palestra, e lavoro. È il sacrificio che mi mantiene così.
Gli uomini sono meravigliosi. Anche se quelli di qui sono un po’ strani, perché è come se avessero sempre paura, ma non si capisce cosa li spaventa. Forse sono le loro donne che li rendono timorosi, perché anche loro sono strane, serie di giorno e allegre solo la notte.
Ce n’era uno che mi veniva a trovare spesso, e mi aspettava anche quando non c’ero; parlava molto, e mi pagava di più solo per ascoltarlo. Non mi guardava quasi mai negli occhi e, se fosse stato per me, avrebbe potuto finire tutto in cinque minuti. All’inizio era così, ma poi ho capito che aveva bisogno anche di altro; allora ho provato a raccontargli qualcosa di me e, piano piano, anche lui ha preso a parlare.
La prima volta è bastato guardassi il suo portafogli per fargli capire che anche le chiacchiere hanno un prezzo; da allora, dopo che avevamo finito, lui tirava fuori un’altra banconota, si accendeva una sigaretta e iniziava a farmi qualche domanda. Anche io gli chiedevo qualcosa della sua vita, e così parlavamo un sacco. Quando intuivo che stavamo andando troppo oltre, mi bastava sempre lanciare un’occhiata al portafogli e ci capivamo subito. No, non sono una psicologa. Faccio la puttana.
Una sera è arrivato, e si vedeva che era molto triste, infatti non abbiamo fatto niente: ha voluto solo parlare. Mi ha pagato come sempre, ma sono rimasta vestita. A un certo punto ha aperto lo sportello del cruscotto e ha tirato fuori una scatola, e dentro la scatola c’era un anello, e mi ha chiesto di sposarlo.
Mi ha detto che era stanco di sua moglie e che non l’amava più. Ma io gli ho chiesto come si sarebbe sentito se avesse lasciato i suoi due figli, e lui mi ha risposto che loro erano già grandi, che se la sarebbero cavata benissimo; e li ha chiamati bastardi ingrati, perché il più grande non voleva portare avanti la sua azienda e sua figlia somigliava troppo alla madre: pensava solo a spendere il denaro che lui guadagnava con tanta fatica. Poi mi ha detto che mi avrebbe fatto fare una vita da regina, e che avrebbe pagato l’università migliore per mio figlio.
Ma io gli ho risposto che a mio figlio non gli frega niente di studiare, perché gioca a calcio nella primavera dello Steaua, e quando diventerà un attaccante famoso non avrà bisogno di soldi. Allora lui mi ha detto che si era innamorato di me, ma io l’ho guardato dritto negli occhi, gli ho accarezzato la testa e gli ho dato un bacio sulla guancia. E da quella sera non l’ho più visto.
Mi chiamo Alina e lavoro in Italia da cinque anni. Negli ultimi due Osvaldo è stato il mio cliente più affezionato, il più generoso e anche il più discreto. Mi ha fatto un certo effetto, l’altra sera, quando sono entrata nel solito bar e ho visto il giornale appoggiato sul frigo dei gelati, perché in fondo alla pagina c’era la foto di Osvaldo insieme a una donna. L’avevo già vista, quella: stava sempre al distributore sulla statale, poco più avanti di me.
Ora non ricordo il titolo dell’articolo, ma mi pare ci fosse scritto che lui, il re del fotovoltaico, si era risposato con una straniera e aveva aperto una filiale della sua azienda in Romania, per partire alla conquista dei mercati dell’est europeo. Allora sono scoppiata a ridere, e quei pochi clienti che c’erano si sono voltati e mi hanno guardato. Ho chiesto scusa a tutti, ho chiuso il giornale e mi sono presa il mio caffè. E ho pensato a quanto sono meravigliosi, questi uomini.
Ciao Silvio,
mi piace molto questo sito. In particolare mi é piaciuta la tua storia. Anche perché lascia una interpretazione molto profonda a la fine.
Tanti saluti dalla Germania
Grazie del tuo commento!
Carino il racconto. Qualche saltino logico non lo rende meno gradevole. Ma se l’autrice fosse stata un vera rumena, avrei certamente avuto qualcos’altro da aggiungere.