Non sento più le gambe.
Dev’essere il sangue. Se ne va, come me. Come tutto ciò che ho avuto: la casa, la terra, la lingua, pronunciata sottovoce per non far sparire le parole insieme ai nostri corpi.
Sono a metà fra Rafah e quella maledetta linea tracciata col coltello che chiamano Erez. Mi hanno sparato mentre cercavo il mare, quel mare che i miei vecchi dicevano portasse lontano. Ma nessuno diceva quanto fosse freddo, quanto fosse denso di abbandono.
Ora lo so.
Il Mediterraneo è un grande occhio cieco che ci guarda morire uno dopo l’altro, uno dopo l’altro, senza battere ciglio.
Mi ci specchio dentro, e non vedo riflessi. Appena la mia voce che si fa sempre più fioca, come un canto spezzato a metà.
Una volta, anni fa, una volontaria italiana mi parlò di un poeta. Mi recitò i suoi versi a memoria, una sera d’inverno, sotto una luce che tremolava. Ne ricordo un verso: “E il naufragar m’è dolce in questo mare”.
Io non capii subito.
Mi pareva assurdo trovare dolce il naufragare: nella mia mente naufragare significava morire. Come si sopravvive a un naufragio?
Adesso invece lo capisco. Adesso sì.
È dolce annegare in questo abisso piuttosto che restare sulla riva a guardare la mia terra divorata palmo dopo palmo, la mia gente trasformata in statistica, in rumore di fondo, in menzogna.
È dolce morire qui, dove almeno non possono ripetere che non sono mai esistito.
Le stelle sopra di me sono infinite. Una distesa silenziosa che nessuno può bombardare. Le guardo e penso: ecco, quello è il mio popolo adesso. Polvere di luce dispersa nell’eterno, vasto cielo.
Io sono soltanto un uomo. Ferito, solo, morente. Ma per un istante, in questa deriva senza fine, sono tutto ciò che resta. Ciò che resta della Palestina.
Il mio corpo che affonda è l’ultimo canto.
E mentre l’acqua mi entra nella bocca, e non ho più fiato per risputarla, non è la paura a restare, ma quell’unico verso che mi tiene ancora sveglio:
“Il naufragar m’è dolce in questo mare”.
Perché almeno qui, in fondo al nulla, non possono più cancellarmi.
Non ancora.
Non del tutto.
Non nell’infinito sopra di me.
Racconto terzo classificato alla trentottesima Notte degli Imbrogli del 17 luglio 2025.





















