Antonia Buizza – Immortalità

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Ho conosciuto Maicol alle elementari, ma solo tre anni fa ho capito quanto valeva.
Era passato nell’arco di uno sputo da cento amici scarsi a diecimilaseicentodiciotto. Non so se mi spiego: diecimilaseicentodiciotto; e il numero cresce ogni giorno.

Non che sia mai stato particolarmente fisicato, Maicol: occhi chiari, slavato, magro da far paura.  Una volta ci aveva anche provato, a fare un po’ di pesi, ma erano state più le tirate per il culo che gli etti di muscoli che ci aveva guadagnato. Del resto poteva scegliersene un’altra di palestra: se ci hai l’aria dello spaventapassere non  vai alla Virgin, che è il posto più figo della città; altrimenti vuol dire che te le vai a cercare, le tirate per i fondelli. La Franci, quella che fa la commessa nella profumeria di fronte, se la ricorda ancora la sua tuta blu in acetato, che andava forse di moda negli anni novanta, ma non ne sono sicuro.  Comunque, dopo un paio di mesi passati a sudare, aveva capito che non era aria, e aveva smesso.

Non c’è neanche da dire che avesse un gran lavoro, perché faceva il magazziniere alla Safab e, coi tempi che corrono, era in cassa un mese sì e l’altro pure. Per fortuna che  la sua vecchia aveva messo da parte un bel po’ di pila, a lustrare scale e a lavare i piatti del Boccone del prete. A Maicol, infatti, i conquibus non mancavano mai e, quando non lavorava, lo trovavi tutte le mattine al bar del Cinese, davanti a un caffè corretto sambuca; se non era lì, puoi star sicuro che stava nel retro, alle macchinette dei videopoker. Con la sfiga che si ritrovava, ci lasciava di fisso un bel po’ di carta, ma gli andava comunque di lusso, perché sua madre mica gli diceva niente, anzi, lo foraggiava di nuovo. Del resto anche lei la trovavi ogni due giorni dal tabacchino, a puntare sulla ruota di Venezia, dove era andata in viaggio di nozze; almeno così raccontava. Del padre di Maicol non si sapeva niente e, quando qualcuno toccava l’argomento, lui si faceva zitto e metteva su una brutta faccia anche se, rinsecchito com’era, non avrebbe fatto paura a una mosca.

Il sabato sera usciva con la nostra compagnia, quella del Micio e del Barba, e faceva comodo a tutti, perché la sua Punto non era mai in riserva. Solitamente andavamo a farci un ape al North Cape e poi a ballare al Trendy o al Cadillac. Maicol, dopo un pirlo e un negroni, ci provava un po’ con tutte e, cesso com’era, faceva pure il difficile, tampinando solo le più gnocche; nessuna però era mai talmente fatta, non dico da dargliela, ma neanche da fargliela annusare. Allora si consolava al bancone, facendo il cretino con le bariste, che da contratto devono fare le carine un po’ con tutti.

Fu proprio un sabato sera che Maicol andò a sbattere. Saranno state le quatto del mattino. Eravamo andati al Black Lake, un locale che aveva appena aperto sul lago e che era un po’ fuori dai nostri giri. Volevamo vedere dal vivo la Belèn, che quella sera era ospite e firmava autografi. A me non è che le sudamericane mi facciano impazzire, ma gli altri erano esaltatissimi e Maicol più di tutti: aveva in mente di farsi un selfie con la tipa.

Arriviamo alle undici e dobbiamo pure fare la coda, perché un sacco di gente ha fatto la nostra stessa pensata. Dopo un’ora riusciamo a entrare e subito ci fiondiamo al bancone per un giro di Mojito. La Belen la intravvediamo da lontano: è tanta roba, ma chi ha voglia di farsi altre due ore di coda per uno scatto? Solo quello stordito di Maicol, che non le stacca gli occhi di dosso.

Alle tre lo rivediamo e gli diciamo che vogliamo cambiare aria. Lui continua a ronzare attorno al palco. Il selfie non se l’è ancora fatto, perché in fila non riesce a starci, e va e viene dal bar. Lo guardo in faccia  e capisco subito che è gonfio, ma non è che io e gli altri siamo messi meglio. Lo molliamo lì a sbavare dietro l’argentina e ce ne andiamo, anche perché siamo venuti con due macchine, così ci infiliamo tutti nella Golf del Micio.
Il mattino dopo, alle undici passate, mia madre mi sveglia col caffè; e con la notizia che Maicol si è schiantato.

Quella domenica non si parlò d’altro che della fine di Maicol, che era andato fuori strada e si era spiaccicato contro il vecchio  gelso all’entrata del paese. Era stato anche bravo ad arrivare fin quasi a casa. Peccato per quella pianta che è una vita che devono abbattere: quando si dice la sfiga! Speravo che almeno il selfie con la Belèn fosse riuscito a farselo.
Con gli altri andammo a vedere il posto dello schianto, ma ormai non c’era rimasto più niente, giusto qualche vetro e i segni della frenata. Non valeva neanche la pena di tirare fuori il cellulare per uno scatto.

Ciao Maicol, mi mancherai R.I.P. … Anche se sei lassù non ti dimenticheremo R.I.P…. Un nuovo angelo è arrivato in Paradiso R.I.P. …. Ora sei la nostra stella R.I.P. La sua pagina facebook, che fino al giorno prima contava neanche un centinaio di amici, iniziò a essere presa d’assalto. Tutti volevano scrivere qualcosa.

Quella sera, al bar del Cinese, stavamo ancora parlando dell’incidente quando  il Barba scorrendo il dito sul telefono, se ne venne fuori con l’idea che era un peccato che Maicol non fosse lì a godersi il suo successo. Un po’ per ridere provò a entrare nella sua pagina facebook: digitò il nome e la password. Il caro estinto non aveva mica tanta fantasia: scrivemmo Belen e subito fummo dentro.
Quello fu l’inizio.

Dopo una litra di Tennent rossa, il Barba annunciò in rete che Maicol sarebbe rimasto sempre con noi, e caricò alcune foto dell’ultima bevuta al Cadillac. Veramente la sua  faccia risultava un po’ sfocata, ma forse era meglio così.
L’hashtag #UnlikeperMaicol fu una mia trovata.

E fu un successone: già il mattino dopo eravamo a cinquecento Mi piace.
Il giorno del funerale fu un evento. Il Micio lo documentò minuto per minuto, caricando tutto in tempo. Montò anche un breve filmato con Io credo risorgerò di sottofondo: un lavoro da professionista.

Da allora sono passati tre anni, e Maicol è ancora fra noi; non solo perché gli organizziamo il compleanno etilico al Cadillac o ricordiamo lo schianto al Trendy (e i biglietti per gli eventi vanno a ruba), ma perché si può dire che è per merito suo se ho conosciuto Sara.
Fu un’idea del Micio quella di lanciare l’hashtag #UnselfieconMaicol, ed è inutile dire fu un trionfo: la foto di Sara davanti alla lapide la conservo ancora sul cellulare.
E, nel mio piccolo, mi sento fiero di aver dato anch’io un senso alla vita di Maicol.

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Antonia Buizza è nata a Brescia nel 1972 e ha trascorso tutta la sua vita a scuola, passando senza interruzioni dal banco alla cattedra. Attualmente insegna lettere in una scuola media della Franciacorta. vive in Franciacorta, dove svolge l'attività di insegnante. Recentemente ha pubblicato la sua prima antologia di racconti, "Fuori fa bel tempo" (Prospero, 2017).

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