Norman Angell – La grande illusione

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Pubblicato nel 1909, La grande illusione è un saggio che tenta di dimostrare come la guerra sia diventata economicamente controproducente in un mondo sempre più interconnesso. Secondo Norman Angell, la potenza di una nazione non si misura più con la conquista territoriale, ma con la solidità del suo sistema economico, e dunque nessun Paese trarrebbe vantaggio reale da un conflitto su larga scala. L’idea di un’Europa che precipita in una guerra disastrosa gli sembrava un retaggio del passato, un residuo di mentalità superate.

Il saggio ebbe un enorme successo e fece guadagnare ad Angell una reputazione internazionale, tanto che nel 1933 vinse il Premio Nobel per la Pace. Tuttavia, il suo ottimismo si rivelò clamorosamente errato: solo cinque anni dopo la pubblicazione, l’Europa s’infiammò con la Prima guerra mondiale e, poco più di due decenni dopo, la Seconda guerra mondiale avrebbe dimostrato che la distruzione su scala industriale non era affatto un deterrente.

Più di un secolo dopo, siamo ancora qui a raccontarci che l’interdipendenza economica impedirà nuovi conflitti su larga scala. La grande illusione risuona nei discorsi di chi, fino a ieri, diceva che le guerre tra potenze globali erano ormai superate perché “troppo costose” e “dannose per tutti”. Eppure, vediamo il ritorno di guerre che molti credevano impossibili nell’era della globalizzazione, con l’economia usata sia come arma (sanzioni, embargo, guerre commerciali), sia come scudo illusorio per illudersi che il mondo sia troppo interconnesso per crollare.

Angell non aveva torto nel dire che la guerra è irrazionale, ma aveva sottovalutato un fattore umano decisivo: le nazioni non sempre agiscono secondo pura logica economica. Orgoglio, ideologia, ambizione e paura hanno sempre avuto un ruolo determinante. Oggi, proprio come nel 1914, continuiamo a ripetere che una guerra su larga scala “non conviene a nessuno”. Speriamo solo che questa volta sia vero. Ma non ci conterei troppo.

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