C’è un punto, nei grandi romanzi, in cui la storia di un individuo diventa la radiografia di un secolo. I giorni di Vetro di Nicoletta Verna è uno di questi romanzi, e il punto è una fenditura che attraversa la carne della Storia e la mostra nel suo spasimo quotidiano. Non è un romanzo “sul fascismo”: è un romanzo dentro il fascismo, dentro la sua ferocia, la sua fame di redimere e di punire che tutto fagocita.
Tutto comincia con Redenta, nata a Castrocaro il giorno del delitto Matteotti, come se il suo respiro fosse lo stesso fiato che alimenta la nascita del male nel Paese. Da subito le attribuiscono la scarogna, il marchio della diversità e del presagio. Ma lei non muore: sopravvive. E la sua sopravvivenza diventa una forma di resistenza muta, una sfida che non chiede luce né gloria.
Nel tempo della sopraffazione, del corpo femminile come campo di battaglia e di proprietà, Redenta cresce fra lutti, superstizioni e silenzi. Ama Bruno, il ragazzo che le ha promesso di sposarla e che svanisce come una leggenda. Poi incontra Vetro, il gerarca: un uomo che incarna il male non come potere, ma come ordine naturale delle cose. Sposa la violenza, la subisce e l’attraversa, senza mai lasciarsi possedere fino in fondo. E, quando la guerra finisce dentro la cenere dei giorni, la sua traiettoria s’incrocia con quella di Iris, partigiana, enigmatica e luminosa come un’ombra che riscatta. Da quel momento la sua storia diventa un roveto di memoria e di colpa, un nodo di segreti che non si possono pronunciare.
Ciò che conta, in I giorni di Vetro, non è però tanto la trama, quanto la materia viva che la regge.
La lingua di Nicoletta Verna sembra uscita da una gola arsa, da una terra spaccata: impasta dialetto, lirismo, invettiva e pietà. Non c’è una frase che non scavi, non ferisca, non tremi di compassione. Il romanzo procede come una rivelazione in controluce: il dolore non è mai spettacolo, ma condizione originaria dell’umano.
Persino nei momenti più crudi, l’autrice mantiene una sorta di mistica terrestre: una fede, quasi contadina, nella possibilità di continuare a curare, a lenire, a vedere. E Redenta è una creatura che non si arrende al male, ma ne raccoglie la testimonianza: è l’eco di tutte le donne sopravvissute, di tutte le vite che il mondo patriarcale e guerresco ha tentato di frantumare – e che invece, come il vetro dopo l’urto, continuano a riflettere luce da ogni scheggia.
Leggere I giorni di Vetro è come camminare a piedi nudi sui cocci della memoria: fa male, ma ogni ferita illumina. E in quel sangue che stilla, in quel respiro che ancora arde, Nicoletta Verna ci consegna la più antica delle verità: che la grazia, anche nel fango, è un atto di resistenza.





















