Se si volesse immaginare la Cina antica come un vasto paesaggio sonoro e visivo, il Shijing (詩經, “Libro delle Odi”) sarebbe la prima grande eco giunta fino a noi, un canto che attraversa i secoli con la limpidezza di un ruscello di montagna e la forza dei venti che scuotono le pianure del centro e del nord.
Raccolto tra l’XI e il VII secolo a.C., il Shijing è la più antica antologia poetica cinese giunta integra fino ai giorni nostri: una tessitura di suoni e immagini che registra la vita quotidiana, i sentimenti più intimi, le feste, i riti religiosi, i lavori nei campi e le vicende politiche. Non è soltanto poesia, ma una sorta di archivio emotivo e sociale, un ponte diretto tra la modernità e un mondo lontano, dove le parole erano già strumenti di bellezza, riflessione e persuasione.
La sua origine è legata al cuore della vita aristocratica e popolare: i Feng (“inni dei feudi”) raccolgono poesie popolari di vario tipo, dalle lodi dei principi alle confessioni amorose, dai racconti delle fatiche quotidiane ai lamenti di guerra; gli Ya (“inni ufficiali”) erano inni utilizzati nelle cerimonie di corte e nei riti pubblici; i Song (“inni di corte”) accompagnavano le cerimonie dei sovrani e le celebrazioni dei rituali di famiglia.
Ogni componimento ha una struttura lineare e precisa, fatta di toni musicali, parallelismi, ripetizioni e allitterazioni, eppure contiene una vivacità che ancora oggi colpisce chi lo legge: il Shijing è insieme semplice e complesso, quotidiano e universale, un mosaico di voci che sembrano parlare direttamente al lettore moderno.
La sua importanza non è solo letteraria, ma storica e filosofica. Confucio stesso lo considerava fondamentale: per lui, leggere e meditare sugli odici significava comprendere l’ordine morale del mondo, imparare a governare se stessi e gli altri, e riconoscere la forza dei legami tra l’uomo e la società.
Il Shijing ha plasmato la sensibilità cinese per secoli, diventando modello di misura, equilibrio, armonia e profondità emotiva.
Non conosciamo i singoli autori del Shijing: perché molte poesie erano canti popolari trasmessi oralmente, modificati e adattati di generazione in generazione. Quando furono raccolte e canonizzate, l’importanza era nel contenuto e nella funzione rituale, non nella paternità. La cultura cinese antica valorizzava il collettivo più che l’individuale, e le informazioni sugli autori originari andarono perdute o non vennero proprio considerate.
Tra le 305 poesie della raccolta, abbiamo scelto di presentare al lettore italiano 《静女》 (Jìng Nǚ), una delle composizioni più intime e delicate, perché racchiude in poche strofe la ricchezza simbolica e la sensibilità emotiva che caratterizzano l’intero libro. Il titolo stesso, 静女, significa letteralmente “giovane donna silenziosa” o “donna tranquilla”: la parola 静 (jìng) evoca calma, riservatezza, compostezza, mentre 女 (nǚ) indica la giovane donna, protagonista discreta e insieme centrale della poesia.
Qui l’amore non è dichiarato apertamente, ma suggerito attraverso gesti, doni e sguardi: il germoglio bianco e la cannuccia rossa diventano messaggeri di sentimenti, simboli di delicatezza e di rispetto. È una poesia che parla di desiderio e cortesia, di attesa e grazia, e lo fa senza clamore, come se le parole stessero trattenendo il fiato per non disturbare l’armonia dell’universo.
Presentare 《静女》 significa offrire al lettore un primo incontro con la poesia cinese antica nel suo aspetto più umano e universale: qui, come in tutto il Shijing, la grandezza artistica risiede nella semplicità apparente, nella musicalità delle parole e nel modo in cui ogni gesto, ogni immagine, ogni silenzio diventa veicolo di emozione. È un invito a ascoltare attentamente, a percepire l’invisibile tra le righe, a capire che, anche oltre tremila anni di storia, il cuore umano pulsa con le stesse ansie, speranze e dolcezze di sempre.
Giovane donna silenziosa
La giovane silenziosa, così bella, mi attende all’angolo della città.
L’amore c’è, ma non ci vediamo; mi grattavo la testa, esitante.
La giovane silenziosa, così graziosa, mi ha regalato una cannuccia rossa.
La cannuccia rossa è luminosa; mi rallegro della bellezza della giovane.
Tornando dal pascolo, mi ha dato un germoglio di erba bianca,
veramente elegante e raro.
Testo originale cinese
靜女其姝,俟我於城隅。
愛而不見,搔首踟躕。
靜女其娈,贻我彤管。
彤管有炜,說怿女美。
自牧歸荑,洵美且異。
匪女之為美,美人之貽。
Questa poesia appartiene alla sezione Guó Fēng (國風, “Inni dei vari stati”) del Shijing, precisamente al capitolo Bèi Fēng (邶風, “Odi del Regno di Bei”). È composta da tre strofe, ognuna con quattro versi, e viene spesso interpretata come un’espressione di amore cortese e simbolico. Il “germoglio di erba bianca” (荑草) e la “cannuccia rossa” (彤管) sono simboli di affetto e cortesia, utilizzati come messaggi tra i giovani innamorati.
La poesia riflette la cultura dell’epoca, in cui l’amore era spesso espresso attraverso gesti simbolici e codificati, piuttosto che attraverso dichiarazioni dirette. La giovane, rappresentata come “silenziosa” (靜女), incarna la virtù e la modestia, qualità molto apprezzate nella società cinese antica.