Fernando Sorrentino (1942) è uno scrittore di Buenos Aires, professore di lingua e letteratura, allievo di Borges, autore di numerose raccolte di racconti, un saggio edito in Italia (Sette conversazioni con Borges, Mondadori, 1999) e un romanzo mai tradotto (Sanitarios centenarios). Gli opilioni di San Ferdinando è la terza raccolta italiana del grande narratore sudamericano, dopo Per difendersi dagli scorpioni e Per colpa del dottor Moreau, sempre editi da Progetto Babele.
Se vi siete mai chiesti a che cosa servono le associazioni culturali e gli editori di nicchia che non cercano il mero profitto, questa è una delle risposte: far uscire allo scoperto voci che nessun grande editore si sognerebbe di andare a cercare. Gli scrittori come Sorrentino sono troppo letterari, distano mille miglia dal concetto di letteratura come merce intorno al quale Pier Paolo Pasolini ha versato fiumi d’inchiostro. La nostra (grande? grossa?) editoria preferisce fabbricare fenomeni: da tempo ha abdicato a un lavoro di ricerca, e in altri casi compie veri e propri furti di scoperte altrui senza remunerare il lavoro fatto. Siamo arrivati al punto che qualcuno decide per noi che cosa sia letteratura, ma la vera tragedia è che chi si arroga il compito i scegliere ciò che dobbiamo leggere non ha la minima competenza per farlo.
Il libro di Progetto Babele è curato da Francesca Ambrogetti, che scrive una forbita prefazione. I traduttori dei racconti – impaginati in due colonne, secondo lo schema delle riviste pulp di una volta – sono Alessandro Abate, Mario De Bartolomeis, Enzo Citterio, Renata Lo Iacono e Marco R. Capelli (il direttore editoriale). La copertina originale è di Salvatore Romano.
Francesca Ambrogetti sottolinea, nella sua compiuta prefazione, che Sorrentino è dotato di uno stile originale e coinvolgente, capace di far convivere realismo e fantasia, oltre a mettere in primo piano i problemi umani. Personaggi credibili e realistici che non lasciano indifferenti, storie che ti prendono e non riesci a lasciarle prima della parola fine. Il tutto ambientato in una Buenos Aires contraddittoria e gigantesca, tra uffici e parchi, periferia che non lascia scampo a ricordi nostalgici. Le storie sono condite da umorismo e ironia, quasi sempre scritte in prima persona da un io narrante consapevole. Una lettura che ricorda Borges.
Un piccolo assaggio: (…) – Le piacciono gli animali da casa? – gli chiesi. – Perché non si compra uno pterodattilo? – Uno pterodattilo? – chiese a sua volta il vicino stupido. – Che cos’è uno pterodattilo? Io avevo previsto che non avrebbe saputo che cosa fosse uno pterodattilo: i vicini stupidi non sanno nulla di veterinaria. Gli spiegai, usando le mie insigni capacità di sintesi, quali erano le caratteristiche di uno pterodattilo. – Io ne ho uno – aggiunsi. – Non me lo potrebbe fare vedere, colonnello? I vicini scemi sono soliti chiedere cose impossibili. – Purtroppo, no… – i colonnelli non possono dare il loro consenso così facilmente. – Lo farei molto volentieri proprio perché è Lei a chiedermelo. Ma se qualcuno lo guarda, lo pterodattilo muore di paura sul colpo. Questa è proprio una delle sue caratteristiche più importanti: è per questo che sono così cari. Bisogna tenerlo in una cassa scura, preferibilmente di ebano ed è necessario allungargli il cibo attraverso una fessura, senza guardarlo (…) (UN VICINO STUPIDO, Fernando Sorrentino.





















