Mary McCarthy – Il gruppo

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1910

Sex and the city non ha inventato nulla

La McCarthy presenta al lettore, con garbo e ironia, i primi passi nella vita adulta di otto ragazze diplomate al prestigioso Vassar College nel 1933: Kay, Priss, Dottie, Pockey, Lakey, Polly, Libby, Helena … più qualche altro corollario.
L’arco temporale considerato – circa una decina d’anni – costituisce una parentesi fra la grande depressione e l’incombere di una nuova guerra. Fra l’uscita da una crisi economica che ha lasciato tracce più o meno profonde nei patrimoni familiari delle interessate –  tanto da far sì che per qualcuna, come Polly, il lavoro non sia più un vezzo, ma una necessità- e l’ombra minacciosa di una catastrofe.
I primi fiduciosi passi di queste giovani donne costituiscono spesso occasione d’inciampo e segnano sempre un cambiamento di rotta rispetto ai propositi iniziali. Il brio e l’entusiasmo devono venire a patti con la realtà. Con qualche sorpresa: c’è ad esempio chi si sposa con l’uomo sbagliato, e chi si scopre libertina; c’è chi, come Dottie, ha una madre che vuole fare l’amica, e Kay, il cui marito (sempre quello sbagliato) è pronto a farla rinchiudere in manicomio pur di continuare a fare i propri comodi. Qualsiasi evento, anche il più odioso e meschino, deve essere affrontato col sorriso sulle labbra, come si addice alle brave ragazze. Il sorriso sulle labbra, però, si paga con la rinuncia a sé stesse. Un prezzo veramente caro.

Il romanzo offre un mosaico di personaggi indimenticabili. C’è l’anticonformista che diventa conformista, e il contrario. C’è chi tenta di far carriera per sentirsi dire che non è cosa da donne; chi non cerca l’amore ma lo trova inaspettatamente. L’autrice ce la mette tutta per farci sorridere, anche se a denti stretti. Le situazioni sono credibili, i dialoghi fulminanti.
È uno spasso vedere ciascuna di queste ragazze con gli occhi dell’altra, come in un gioco di specchi. La molteplicità dei punti di vista regala al lettore alcuni personaggi a tutto tondo. Quando invece si tratta di descrivere delle macchiette come Pockey e la sua assurda, ricchissima, sciocca famiglia, in balia di maggiordomi e servitù varia, il tono è quello della pura satira.

Nel romanzo ci sono il genio, la mediocrità e la follia, spesso più saggia della normalità. L’evoluzione di un’epoca con le sue mille manie è scandagliata con occhio acuto: la maternità non porta più ad una placida gioia naturale, la psicanalisi viene messa alla berlina come comodo alibi per non cambiare mai, la politica è un gioco senza significato, il sesso è un problema; l’Europa si presenta come un lontano oggetto del desiderio.
Le otto amiche sono come pioniere in un mondo che cambia, ma non sta mai al loro passo. A tirare il freno a mano c’è quasi sempre lui, il maschio. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà, recita la Bibbia, e ora come ora, non molto è cambiato. Niente di nuovo sotto il sole! Ognuna scopre a proprie spese quanto gli uomini siano irrimediabilmente diversi e distanti, una vera controparte. L’uomo non ha bisogno di autogiustificazioni per perseguire scopi egoistici: lo fa e basta. A muso duro. Che cosa può fare contro una simile determinazione una povera, sorridente ragazza? Il segreto della felicità è forse liberarsi del maschio, come sembra suggerire il finale?
Un testo scintillante e arguto.

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Giorgia Boragini è nata a Bologna qualche decennio fa. Vive e lavora in quel di Brescia. Laureata in Giurisprudenza per necessità, accanita lettrice per passione, ama osservare il mondo per trarne talvolta qualche storia. Frequenta con impegno discontinuo laboratori di scrittura creativa. Il suo primo romanzo, "Il copione del delitto" (Liberedizioni, 2013), si è aggiudicato, da inedito, il secondo posto al concorso Manerba in Giallo, edizione 2011. Nel 2017 è stata pubblicata la sua raccolta di racconti "Tipi da Bar" (Prospero Editore). Con "Mai rovinare il pranzo di Ferragosto!" (Liberedizioni, 2019) è tornata a cimentarsi con il genere giallo.