I saggisti sono più creativi dei romanzieri – Intervista a Luigi Amara

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Una poetica del recupero. Così appare l’opera di Luigi Amara, saggista e poeta messicano, autore di libri tradotti in Germania e Francia, tra cui “El peatón inmovil” (“Il pedone immobile, Arlequín, 2013), “Historia descabellada de la peluca” (“Storia scapigliata della parrucca”, Anagrama, 2014), “La escuela del aburrimiento” (“La scuola della noia”, Sexto Piso, 2012) e il recentissimo “Una caja dentro de una caja dentro de una caja” (“Una scatola dentro a una scatola dentro a una scatola”), pubblicato da Impronta Casa Editora, un raffinato editore indipendente di Guadalajara (Messico) che stampa in libri a piombo, con le ultime linotype funzionanti del paese (e relativi esperti linotypisti). Sono tutte cronache di un inviato speciale nella quotidianità, nel mondo degli oggetti vicini e dei gesti banali (passeggiare, impossessarsi per sbaglio di un accendino altrui, sbadigliare…) che aprono porte e passaggi su universi insospettabili. Lo abbiamo incontrato in occasione dell’ultima Fiera internazionale del libro di Guadalajara (www.fil.com.mx).

 

Dalle parrucche agli accendini, sembri ossessionato dagli oggetti quotidiani.

Più che altro dall’idea, nemmeno così strana, che il mondo grigio e ripetitivo a cui siamo abituati contenga un mondo straordinario. Pensare che la vita di ogni giorno, quella della routine, sia priva di interesse è una distorsione. Non bisogna cercare l’evasione, bensì tornare a questa vita, riappropriarcene, abitarla. Contro la pubblicità, che riesce a farci credere che siamo profondamente insoddisfatti. E che dobbiamo cercare sempre qualcosa “oltre”.

Qual è la soluzione possibile?

Cambiare il nostro modo di guardare, per risignificare gli oggetti. A volte basta percorrere a piedi una strada conosciuta, ma a un’ora diversa da quella di sempre, con un altro ritmo, e si apre un nuovo universo.

Camminare come antidoto alla noia?

A me camminare piace molto, perché obbliga a fare i conti con l’ansia, che io considero legata alla noia, altro tema cui ho dedicato un libro. Se cammini in un luogo molto affollato non puoi andare al tuo ritmo, devi adattarti a quello degli altri. E se non accetti che ogni momento, ogni occasione ha un proprio ritmo, finisce che entri in ansia. Ma se riusciamo a non cadere in questa trappola, allora accadono cose molto interessanti.

Per esempio?

Quando camminiamo, viviamo un momento contemplativo e intimo. Siamo percettivi in un modo totale. I sensi sono tutti coinvolti (se dobbiamo attraversare, se sentiamo un rumore di auto alle nostre spalle…), mentre la mente vaga in una specie di spazio interiore. Siamo sempre di fretta, in auto o con i mezzi pubblici. Mentre il bello del camminare è perdersi. Non c’è una meta, il percorso è già la meta.

Come per i viaggi?

Per i viaggi, ma non per il turismo, che invece contiene un bisogno di assolvere a un impegno, completare l’agenda. Mentre mi interessa recuperare l’attività di flaneur.

Per esempio andare per musei (come racconti nel tuo ultimo libro, “Una caja dentro de una caja dentro de una caja”) per il gusto di “andare” , non tanto per le opere d’arte contenute.

 

L’arte flirta da sempre con un’idea di salvezza, con la ricerca di un’epifania, di un’eccezione all’ordinario, con la dicotomia tra ciò che è importante e ciò che non lo è, ciò che ha valore e ciò che non lo ha, perché qualcuno ha stabilito così. Il museo nasce con questa caratteristica, poi ripresa dall’industria culturale. È un meccanismo che si ripete a tutti i livelli, lo stesso cristianesimo sostiene che “questo mondo” materiale è meno importante dell’al di là. Come spezzare l’incanto? Non più con la provocazione, cento anni dopo la “Fontana” di Duchamp. Per questo a me interessa parlare degli oggetti quotidiani nella loro ordinarietà.

Scrivi saggi e poesie, due generi totalmente fuori da logiche commerciali…

L’America Latina ha una lunga tradizione di saggistica, che deriva dal diciannovesimo secolo e dall’influenza francese. Per quanto mi riguarda, nel Novecento i nostri saggisti sono stati più creativi dei romanzieri. Hanno giocato, sperimentato, inventato forme nuove. Mentre il romanzo tende sempre di più all’uniformità. Il fatto poi che saggio e poesia siano fuori dal mercato regala impensabili spazi di libertà.

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Francesca Capelli, giornalista, scrittrice per ragazzi e traduttrice, è nata a Bologna e ha vissuto a Madrid, Milano e Firenze, prima di trasferirsi a Buenos Aires. Laureata in Scienze politiche a indirizzo sociologico, sta attualmente scrivendo la sua interminabile tesi di maestría in Comunicazione e cultura all'Università di Buenos Aires. Tra i suoi libri: "Dove lo butto?", "Amo l'acqua", "Mi prendo cura di te" (Giunti), "Veruska non vuole fare la modella" (San Paolo), "Il grande cane nella città fantasma" (Prìncipi&Princìpi), "L'estate che uno diventa grande" (Sinnos, vincitore del premio "Città di Bella" e secondo classificato al premio Penne nel 2011), "Il cacciatore di aria" (Raffaello).