Seumas O’Kelly – Hike e Calcutta

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Il Capo della barca stava accanto alla piccola stufa nera e versava da bere nelle tazze di smalto. Il suo viso risplendeva alla luce del fuoco. L’uomo con il viso butterato era accovacciato sul pavimento alla maniera orientale. Col viso rivolto alla candela accesa, l’uomo con l’espressione tremendamente scura si stava chinando verso il barilotto dell’acqua nell’angolo. La sua pelle era come cuoio e non si lavava mai. Lo chiamavano Calcutta perché si diceva che un uomo con una faccia come la sua poteva essere uscito solo dal Buco Nero di Calcutta. Come si chinò contro il barile, puntò i suoi occhi fiammeggianti su Hike, il conducente.
Hike era in fondo alla cabina e andava tentoni alla cuccetta. Borbottava fra sé. La candela non gettava molta luce sulla sua figura striminzita quando si chinò sulla cuccetta.
«Hike», disse il Capo, «ne hai bevuto solo uno. Prendine un altro».
Hike non rispose, o si girò persino dall’altra parte. Hike era sordo.
«Hike!» gridò il Capo.
Hike borbottò soltanto fra sé.
Calcutta si piegò sulla grata, raccolse un pezzo di carbone e prese la mira. Colpì Hike sulla testa. Lui si girò; i suoi occhi scintillavano nella semi-oscurità come gli occhi di un gatto.
Il Capo rise un po’.
«Bevi!» disse. Allungò la tazza. Hike non si mosse. Calcutta stese il braccio per prendere la tazza e la porse a Hike.
Hike scosse la testa.
Una mano scattò di colpo avanti e indietro e Hike si prese il liquido in faccia. Gli scivolò giù lungo le guance; le gocce gli scorrevano dal mento e dal naso sul pavimento con un piccolo e veloce picchiettio. Calcutta si allontanò da lui, ridendo. Poi il Capo e l’uomo con la faccia butterata assecondarono la risata. Hike borbottò e fece un passo avanti, sollevando un debole braccio minaccioso. Quando vide la minaccia, nell’espressione di Calcutta si insinuò un cipiglio più terribile. Hike colse lo sguardo e il debole braccio cadde. Andò verso la branda e si asciugò il viso nella coperta, poi la ripiegò sotto il braccio e salì la piccola scala a pioli attraverso l’apertura sul ponte.
Il cielo era scintillante di stelle. Il canale era calmo e freddo, il paese intorno silenzioso e congelato. Andò verso la tavola che serviva da passerella verso l’argine. Sembrava una striscia di nastro d’argento con sopra una crosta di piccoli gioielli scintillanti. Hike ci camminò sopra nervosamente e scese verso l’argine.
«Per Dio! È caduto», bestemmiò il Capo quando udì il grido soffocato e il tonfo in acqua. Corse su per i gradini, seguito dall’uomo butterato.
Calcutta li seguì pigramente, fischiettando sommessamente fra sé.
Hike stava trascinando sulla riva il suo corpo rattrappito quando il Capo gli porse una mano per aiutarlo. Quando si alzò in piedi, Hike tremava tutto; l’acqua brillava correndo lungo i suoi vestiti. Reggeva ancora la coperta.
«È molto bagnato», disse l’uomo con il viso butterato, «e sta gelando».
«Torna sulla barca», ordinò il Capo.
Hike, stendendo rigidamente le braccia, rimaneva tremante e avvilito in due piccole pozze d’acqua raccoltesi accanto ai suoi piedi. Guardò in su verso la barca. La figura di Calcutta si stagliava sul ponte, guardando giù silenziosamente verso di loro. Hike esitò.
«Hike!» gridò improvvisamente Calcutta. Gridò il soprannome con una voce di derisione.
Hike si voltò e camminò lungo la strada, con i vestiti fradici e gli stivali che ad ogni passo schizzavano intorno. Lasciò sul suo cammino una piccola scia d’acqua.
«È andato alla stalla», disse il Capo.
«Ah», concordò Calcutta, « andrà a sdraiarsi nella stalla».
La barca cominciò il suo viaggio la mattina quando faceva giorno. Hike spuntò nella luce fioca, conducendo il cavallo dalla stalla con la frusta sotto il braccio. La corda venne legata alla barca, e gli uomini sentirono Hike incitare il cavallo a partire.
«Arri, hop! Arri, hop!» lo sentirono gridare. Gli zoccoli del cavallo battevano sul terreno duro, e la barca cominciò a muoversi lentamente. Avevano davanti un lungo viaggio. Durante i pasti Hike si teneva in disparte dagli uomini della barca. Lo sentirono tossire e abbaiare tutto il giorno mentre camminava sulla riva con il cavallo. Un paio di volte la tosse divenne così violenta che perse il passo e il cavallo girò la testa verso di lui. Hike dovette tirar fuori le mani e cercare il sostegno delle redini, prendendole accanto al morso. Il cavallo inclinò la testa, come ad approvare il supporto. Quando cambiarono i cavalli Hike non avvertì una perdita di simpatia; tutti i cavalli lungo il percorso erano abituati al tocco della sua mano.
«Ha di nuovo quella vecchia tosse schifosa», disse il Capo, in piedi sulla barca.
Calcutta si sporse dalla ciminiera, guardando Hike e fischiettando sommessamente ogni volta che vedeva l’ometto piegato in due dalla tosse. Quando una volta Hike dovette fermarsi stanco morto, si fermò anche il cavallo, nitrendo. Allora la voce di Calcutta chiamò gridando dalla barca, per metà con derisione, per metà con tono di comando:
«Arri, hop!» urlò.
A quelle parole il cavallo procedette con passi affaticati finché non sentì la corda tirare. Con lo stesso istinto Hike barcollò dietro di lui. Tenne salde le redini per il resto del viaggio, la mano così vicina alla bocca dell’animale da essere coperta dalla sua bava.
Quando finì il tragitto della giornata Hike si allontanò col cavallo verso la  stalla.
«Sta andando di nuovo a dormire nella stalla», disse il Capo, e la faccia di Calcutta si rilassò, mostrando il luccichio dei denti.
Quando sorse il giorno non vi era segno di Hike. Il Capo scese accanto alla stalla e gridò il suo nome.
Non vi fu risposta. Andò fino alla stalla e spinse la porta per aprirla. Lo colse un alito di aria calda, viziata. Non riusciva a vedere molto bene. Poteva solo distinguere la sagoma del tramezzo di legno che divideva la stalla e seguire la traccia della mangiatoia contro il muro. Il cavallo mosse gli zoccoli ferrati sui ciottoli. Vide che l’animale stava da un lato.
«Hike!» gridò il Capo.
Il cavallo si mosse ancora, girò la testa e nitrì un poco. Il Capo vide le due piccole nuvole del suo alito uscire alla luce come vapore dall’ombra in cui si trovava. Fece qualche passo avanti, pose una mano arida sulla schiena dell’animale. La bestia stava tremando.
Il Capo vide la corta figura striminzita rannicchiata sul letto di paglia mezzo marcito ai suoi piedi. Si chinò e dette un’occhiata al viso di Hike. Era bianco e prominente, un volto orribile nella semioscurità. Aveva allungato una mano per sentirlo quando lo colpì un pensiero.
Cosa avrebbe fatto se Hike fosse morto?
Indietreggiò immediatamente. Lo strano silenzio nella stalla era sinistro. Il luogo aveva un’atmosfera di sordida tragedia.
Cosa aveva fatto tremare la bestia? Il sospetto divenne una certezza. Tornò indietro alla barca.
«Hike è sdraiato nella stalla», disse. «Non si muove. Penso sia morto».
L’uomo dal viso butterato si tolse il cappello e fece il segno della Croce. Calcutta sbuffò di disprezzo.
«Penso che non avesse amici», disse infine il Capo. Parlava di Hike usando il passato.
«No, non aveva amici. Come poteva?» disse Calcutta. Qualcosa nel suo tono spinse gli altri a guardarlo. Gli occhi apatici guardavano dritto sul canale. Il Capo, in modo vago, pensò di cogliere qualche rivelazione nel viso scuro. Ci vide un odio implacabile, il genere di odio che perseguita una vita spezzata.
«Cosa sai di Hike?» domandò.
«Niente», replicò brevemente l’altro.
«Cerca un prete e un dottore. Fai un resoconto alla caserma della polizia», disse il Capo all’uomo con il viso butterato.
«Vado». L’uomo scese verso la cabina per mettersi il cappotto.
Il Capo camminò lungo il ponte, sporgendosi contro il timone a poppa, guardando nell’acqua gialla. Si lasciò andare a una di quelle meditazioni che arrivano quando si è improvvisamente di fronte alla morte, la morte misteriosa che arriva con passi furtivi. Il Capo rabbrividì un poco ricordando il viso orribile di Hike nella stalla buia. Quindi cominciò a riflettere sulla stranezza della vita e sulla pena di morte che portava con sé. Non andò più vicino al cuore del mistero di quanto non avessero fatto i filosofi nel tempo.
Dopo un po’ si rese conto che Calcutta gli stava accanto. La conversazione che seguì fu condotta a voci basse.
«Sai una cosa, Capo?»
«Cosa?»
«Una volta sono stato sposato».
«Davvero?»
«Sì. La donna arrivò da me per vie traverse. Era promessa a un altro. Lo lasciò per me. Non so molto di lui. Lei non ne parlava spesso».
«È naturale. Voleva dimenticare».
«La cosa che le veniva più facile era dimenticare. Dimenticò quell’uomo e venne il giorno in cui dimenticò me».
«Strano».
«Davvero. Si dimenticò di me perché mi lasciò. Andò via da me per un altro».
Il Capo ebbe l’idea che tutto ciò fosse irrilevante, ma che almeno gettava un po’ di luce sui modi spiacevoli, meditabondi di Calcutta.
«Mi dispiace per te», disse il Capo goffamente.
L’altro rise, un breve riso duro. «Oh, non me ne importava», disse. «Non mi preoccupai molto quando se ne andò».
«No?»
«Quello di cui mi risentii fu che lei mi lasciò per un uomo che disprezzavo. Lei mi lasciò per un uomo che mi faceva sentire così piccolo. L’uomo da cui andò era Hike».
«È per questo che ce l’avevi su con Hike?»
«Gli ho dato la caccia per bene. Sono venuto su questa barca per dargli la caccia. Lui lo sapeva. Sono rimasto sulla barca solo perché volevo vederlo morire sulla riva, tossendo fuori le sue interiora. Non sono mai stato così felice come ieri quando gli spasmi lo dilaniavano. Lui lo sapeva molto bene, e penso che questo abbia contribuito a ucciderlo. È stata quella donna che me l’ha fatto odiare al di sopra di ogni essere vivente».
«E cosa ne è stato della donna? Dov’è ora?»
«Dov’è?» ripeté l’altro, seguendo con gli occhi il sottile rivolo d’acqua. «Come faccio a saperlo? Ma spero che sia all’inferno».
Tornò indietro verso il suo solito posto accanto alla ciminiera.
L’uomo col viso butterato cacciò un urlo dalla riva. La sua mano indicava la strada. Il Capo seguì la sua direzione. Diede un urlo soffocato. Dalla stalla, guidando il cavallo, stava arrivando Hike.
Alzò la testa quando arrivò alla barca. Il suo colorito era malato, i suoi occhi malinconici.
Ma il Capo pensò di vedere un muto accanimento, una consumata sfida nella sua espressione quando gli occhi si posarono sulla figura dell’uomo scuro che stava accanto alla ciminiera.
«Ho dormito più del solito», disse Hike. «Ho avuto un po’ di mal di testa».
La barca si mosse dopo un po’. Hike non tossì tanto quel giorno. Il sole splendeva piacevolmente nel cielo, l’aria era tiepida. Il cipiglio nella faccia dell’uomo accanto alla ciminiera annerita era più profondo.
Il Capo scambiò qualche parola con Hike quando se ne offrì l’opportunità. Aveva delle difficoltà a pensare che la persona infelice, mezzo gobba che stava davanti a lui fosse protagonista di una faccenda come quella che aveva raccontato Calcutta. Ma poi, rifletté, chi è mai stato capace di dare conto delle strade degli uomini?
«Hike» disse nel suo modo diretto, «sei mai stato sposato?»
Hike alzò i grandi occhi tristi che spesso hanno le persone mezzo deformi. Li pervase un’aria sentimentale, aumentandone la stranezza.
«Lo sono stato e non lo sono stato» disse Hike, poi tossì.
Il suo sguardo vagò verso la Barca Dorata e la figura sinistra che stava accanto alla ciminiera. «C’era una che per me è stata tutto ciò che una moglie dovrebbe essere» confidò Hike, con una più pronunciata nota di sentimentalismo.
«Beh, è stato molto bello», disse il Capo, perché capiva di potersi arrischiare con un po’ di umorismo lieve dove c’era tanta emozione.
Gli occhi di Hike si inumidirono. «Lei era un angelo», disse con un inciampo nella voce.
Il Capo, che era sano di mente, tenne sotto controllo le sue espressioni colorite.
«Dov’é ora?» chiese, quasi per caso.
Hike esitò. Doveva riportare indietro la mente da un tumulto di sentimenti. Dovette sistemare qualcosa in gola.
«Se n’è andata», ammise infine, un po’ enigmaticamente. Poi aggiunse: «Spero sia in paradiso».
Il Capo tornò sulla barca. Ciò che poco prima sembrava una faccenda molto tragica aveva cominciato a mostrare un risvolto da commedia. Quando si trovò vicino a Calcutta disse, ancora casualmente: «So dov’è ora quella tua moglie là».
«Non voglio saperlo», rispose l’altro. «La mia speranza è che sia all’inferno».
«Beh, non lo è. È in paradiso».
Calcutta rise ruvidamente.
«Ci potevo scommettere», disse.
«Scommettere che?»
«Che il diavolo in persona non riusciva a tenersela quando se l’era presa».
Il Capo camminò sul ponte. Guardò verso il sole che stava salendo basso nel cielo. Alcuni grandi alberi si stagliavano austeri nel paesaggio. Quando si volse di nuovo vide Hike camminare accanto al cavallo sulla riva; qualcosa nelle sue mezze gobbe era ostinato, distorto, grottesco. Calcutta stava accanto alla ciminiera, gli occhi consumati, immobili, implacabili, mentre seguivano i passi del conducente accanto al cavallo. Era il segugio della strana preda silenziosa.
Il Capo meditò sulle vie degli uomini, e ancora non c’era alcuna spiegazione, alcuna soluzione al problema. Il risvolto di commedia se n’era andato. Nella luce rosa del giorno che finiva, la sua mente era dominata dal senso di una tragedia umana che si trascinava nel tratto di acqua gialla.
Alzò le spalle quando allungò la mano verso il braccio del timone.


Traduzione di Anna Anzani

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(Loughrea, contea di Galway 1881 – 1918). Drammaturgo, romanziere, autore di racconti e giornalista, dopo aver frequentato la scuola locale (St. Brendan's College), O’Kelly iniziò la carriera giornalistica al “Southern Star” di Skibbereen, quindi si spostò a Naas per il "The Leinster Leader", dove rimase in redazione fino a quando andò a lavorare per l'amico Arthur Griffith al "Nationality", organo del Sinn Féin fondato da Griffith stesso nel 1906. Suo fratello venne arrestato durante la Rivolta di Pasqua e Seumas tornò al "Leinster Leader” per un breve periodo. Davanti agli uffici del “Leader” una targa in suo onore riporta 'Seumas O'Kelly - un rivoluzionario gentile'. Morì prematuramente, nel novembre 1918, negli uffici del “Nationality”, per un’emorragia cerebrale a seguito di violenze compiute all’interno del giornale da parte di truppe inglesi anti-Sinn Féin che festeggiavano la fine della prima guerra mondiale. Nella sua breve vita ebbe un’intensa produzione letteraria, in buona parte pubblicata postuma, e scrisse per numerosi giornali, tra cui il Saturday Evening Post e il The Sunday Freeman di Dublino. Scrisse diversi racconti, romanzi e commedie. Il suo The Weaver's Grave è considerato tra i racconti irlandesi più famosi. Una versione radio di questo racconto, adattata e prodotta da Mícheál Ó hAodha, ha vinto nel 1961 l'ambito Premio Italia per teatro radiofonico.

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