La pelle

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Per dissertare sul libro “La pelle”, pubblicato nel 1949, non si può evitare, in primis, di trattare il caso Malaparte. Perché il romanzo allude alla biografia dello scrittore, come d’altronde il resto della sua produzione: traviandola, imbellettandola, facendo risaltare quel che al suo ego più aggrada.

Malaparte è personaggio controverso che fa dell’esagerazione il proprio marchio di fabbrica traducendo in pièce ogni accadimento narrato, sfiorando il grottesco, lo stucchevole, un estremo cinismo. Questi sono gli altari e gli abissi dell’autore, che attraversa la sua epoca con innaturale leggerezza: egopiazzista, intellettuale borghese seduttore, azzeccagarbugli di se stesso.

Con “La pelle” disegna l’impianto della sconfitta, la pornografia dell’essere vinti. In prima persona ci racconta la visione di un’Italia in macerie in cui gli americani occupano Napoli allo sgocciolare del conflitto mondiale. In una Partenope che assurge a simbolo di città calpestata e offesa, l’ufficiale Malaparte ne sarà la triste, cinica, rabbiosa, voce: quella dell’orrore e della pietà che dobbiamo sempre avere, per gli accadimenti nefasti, per le guerre in armi e per quelle interne.

Di cattivo gusto, di eccesso immaginifico, di tracotanza, di particolarismi pornoesposti il romanzo è pieno: l’ossicino del morto nella scarpa, le uniformi macchiate di sangue, le nane dei vicoli, la vergine bambina, le bionde parrucche pubiche come stratagemma sessuale per adescare i soldati di colore e tanti, tantissimi altri.

A tutto questo, però, si aggiungono le bellissime fasi descrittive dei caldi e aggressivi panorami di Napoli e di quel pittoresco ammasso umano, di quel fantastico spicchio da Corte dei Miracoli che è il popolo partenopeo. È anche questo connubio di trash osceno e di sopraffina esposizione del bello che fa grande lo stile narrativo di Malaparte; perché la vita come è, se non oscena e meravigliosa nello stesso tempo?

Nel 1981 Liliana Cavani ne dirige un film. Cast di tutto rispetto con Marcello Mastroianni, Claudia Cardinale, Burt Lancaster. La pellicola è un marchingegno atto a provocare: del romanzo coglie con discreta efficacia le parti più sensazionalistiche e spudorate, disegnando un quadro di umiliazione dei vinti che spesso i libri di storia eludono.

Napoli è la scenografia perfetta, anche perché, Malaparte lo ha detto e la Cavani sembra ben coglierlo: “Cristo è napoletano”. Il cristo martirizzato, crocefisso, deriso; quel cristo che, come il popolo napoletano e più in generale quello italiano, alla fine risorge, risorge sempre.

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Alessandro Pedretta, schiavo delle piramidi, scrittore suicida, ideatore e curatore di libri. Nel 2012 crea il collettivo di scrittori Nucleo Negazioni col quale pubblica con diverse case editrici (sempre e solo rigorosamente NOEAP) e inventa e dirige la fanzine “Negazioni”. Abbandona il gruppo. Viene inserito in innumerevoli e insopportabili antologie sia poetiche che di prosa. Pubblica da solista alcuni libri tra cui la silloge poetica “Non chiedetemi il significato” (Edizioni La Gru, 2014) e il romanzo psicotropo/sperimentale “Golgota souvenir – apostrofi dal caos” (Golena Edizioni, 2014). Collabora con varie entità letterarie via web tra cui “Rivista!una specie” e “In Your Eyes ezine”. Crede in apocalissi cardiache. Crede negli edifici in rovina le cui costole di mura creano ipnotiche ghirlande di macerie.